Emissione di finte fatture e loro successivo utilizzo: non vale il ne bis in idem anche se l'imputato è lo stesso
E’ esclusa l’applicabilità del principio del “ne bis in idem” quando l’imprenditore che patteggia la pena per l’emissione di fatture false è anche legale rappresentante della società che le utilizza nella dichiarazione annuale, pertanto egli resta punibile anche per quest’ultima condotta.
I giudici della Cassazione respingono così il ricorso di un imprenditore avverso la decisione della Corte d’Appello di Milano che, in parziale riforma della pronuncia dei giudici di primo grado, lo aveva condannato per aver commesso il reato di utilizzazione di fatture false nella dichiarazione annuale (art. 2 d. lgs. n. 74/2000). L’imputato riteneva che, avendo patteggiato ex art. 444 c.p.p. in un altro processo, la pena per il reato di cui all’art. 9 d. lgs. n. 74/2000, laddove, agendo quale legale rappresentante di una srl, aveva emesso fatture per operazioni inesistenti, di cui si era poi avvantaggiata la società della quale era amministratore di fatto, doveva applicarsi per i due reati il principio del ne bis in idem, pertanto, egli essendo stato già condannato nel primo processo, trattandosi di condotte collegate, non poteva più essere punito, in base al disposto di cui all’art. 9 del D. Lgs. n. 74/200, secondo cui: “In deroga all’articolo 110 del codice penale: a) l’emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall'articolo 2; b) chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall'articolo 8”.
La pronuncia della Cassazione
Tuttavia, la Cassazione, nella sua pronuncia n. 5434/2017, ha ricordato che l’ambito di operatività dell'art. 9 d.lgs. 74/2000 è stato delineato dalla giurisprudenza della stessa Corte, in relazione al profilo della violazione di legge dedotta nel caso di specie, nel senso che l’art. 9 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, contenente una deroga alla regola generale fissata dall'art. 110 cod. pen., in tema di concorso di persone nel reato, esclude sì la rilevanza penale del concorso dell'utilizzatore nelle due condotte, ma in relazione al diverso soggetto emittente; la deroga, pertanto, non trova applicazione quando è la medesima persona che procede in proprio sia all'emissione delle fatture per operazioni inesistenti, sia alla loro successiva utilizzazione (Sez. 3, n. 19247 del 08/03/2012, Desiati, Rv. 252545).
L’ eccezione prevista dall'art. 9 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, quindi, non si applica quando l'amministratore della società che ha emesso le fatture per operazioni inesistenti coincide con il legale rappresentante della diversa società che le abbia successivamente utilizzate (Sez. 3, n. 19025 del 20/12/2012, dep. 2013, Cetti Serbelloni, Rv. 255396; Sez. 3, n. 47862 del 06/10/2011, Ercolini, Rv. 251963: "In tema di reati tributari, la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato prevista dall'art. 9 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 non si applica laddove amministratore delle società, rispettivamente emittente ed utilizzatrice delle stesse fatture per operazioni inesistenti, sia la medesima persona fisica").
E non sussiste neppure, in tali circostanze, la violazione del principio del ne bis in idem, in quanto, sebbene si tratti del medesimo soggetto, egli agisce nei due reati con due ruoli differenti:
- quello di legale rappresentante, quando compie la condotta di cui all'art. 2 d.lgs. 74/2000, agendo quale utilizzatore della fattura per operazione oggettivamente inesistente;
- quello di amministratore di fatto dell’altra società che emette le fatture false, quando gli viene contestato il reato di cui all'art. 8 d.lgs. 74/2000.
Si tratta, quindi, di un’identità meramente apparente, in quanto riferita a due diversi uffici – utilizzatore ed emittente – per i quali non opera il principio del ne bis in idem.
La Cassazione inoltre ricorda che, in base ad una giurisprudenza ormai consolidata, che ha come riferimento normativo l’art. 238 – bis cpp, le pronunce emesse in un giudizio abbreviato e/o di patteggiamento rientrano tra le sentenze che possono essere utilizzate ai fini della prova del fatto che si già stato accertato (cfr Cassazione, 50706/2014).