Gli spazi pubblicitari forniti a Google sono esclusi da IVA in Italia
L’offerta di spazi pubblicitari a Google non è soggetta a IVA, anche se Google è in possesso di un numero di partita IVA in Italia. Ai fini dell’imponibilità, non è infatti sufficiente che la società italiana svolga un’attività commerciale, oltre che di assistenza tecnica e amministrativa, se non è in grado di ricevere e di utilizzare i servizi ricevuti in quanto la struttura tecnologica (piattaforma software e server) sulla quale vengono veicolati i messaggi pubblicitari è ubicata in Irlanda, dove Google ha sede.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con la sentenza n. 43/1/16 del 7 gennaio 2016, ha stabilito che la fornitura di spazi pubblicitari da parte di una società italiana a favore di Google deve essere fatturata senza addebito dell’IVA, cioè ai sensi dell’art.21, comma 6-bis, lett. a), del D.P.R. n.633/1972, in quanto la prestazione posta in essere è territorialmente rilevante in Irlanda e ivi imponibile con applicazione del meccanismo del reverse charge. La contestazione ha avuto origine dalla pretesa dell’Ufficio di applicare l’IVA sulle suddette operazioni, in quanto Google, benché avente sede dell’attività in Irlanda, è dotata di un numero di partita IVA in Italia, attribuito ad una società che svolge attività commerciale, oltre che di assistenza tecnica e amministrativa.
Il caso
I giudici di primo grado hanno annullato l’avviso di accertamento nel presupposto, essenzialmente, che la società italiana di Google è estranea alla gestione dei servizi ricevuti, siccome svolta utilizzando una struttura tecnica e organizzativa materialmente presente in Irlanda. In buona sostanza, l’offerta di spazi pubblicitari, qualificata come prestazione di servizi elettronici in base al punto 3) dell’allegato II alla Direttiva n.2006/112/CE (si veda l’allegato I al Reg. UE n.282/2011), dà luogo, ai fini IVA, ad una prestazione di servizi “generica”, territorialmente rilevante nel Paese di stabilimento del committente, cioè in Irlanda. L’entità italiana di Google non costituisce, infatti, una stabile organizzazione, come del resto si evince dai fatti di causa, dai quali emerge che l’Ufficio non ha contestato l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia di Google.
A quest’ultimo riguardo, la partita IVA posseduta da Google nel territorio nazionale non è sufficiente per attrarre a tassazione le operazioni poste in essere dal fornitore nazionale, così come si evince dall’art.11, par. 3, del Reg. UE n.282/2011, in base al quale “il fatto di disporre di un numero di identificazione IVA non è di per sé sufficiente per ritenere che un soggetto passivo abbia una stabile organizzazione”. Di fondamentale rilevanza, ai fini della conclusione raggiunta, è poi l’ulteriore considerazione che la piattaforma software e i server, sui quali vengono veicolati i messaggi pubblicitari, sono presenti in Irlanda, cosicché è possibile invocare l’art. 11, par. 1, dello stesso Regolamento, che definisce la stabile organizzazione come “qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica (…), caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione”.
In pratica, l’entità nazionale non può considerarsi destinataria delle prestazioni, in quanto non è in grado di riceverle e di utilizzarle, sicché la stessa non configura una stabile organizzazione di Google e, in tal senso, possono richiamarsi anche le indicazioni fornite dalla Corte di giustizia nella sentenza di cui alla causa C-605/12 del 16 ottobre 2014 (Welmory).