Rapporto di lavoro

Impugnabile il verbale di conciliazione tra datore e lavoratore se l’accordo è sottoscritto in azienda


Se l’accordo di conciliazione tra datore di lavoro e lavoratore è sottoscritto in azienda non è valido e il verbale può essere impugnato, in quanto la sede aziendale non costituisce luogo imparziale, dove la volontà del dipendente può formarsi in maniera libera.

E’ questo, in buona sostanza, quello che emerge da un’ordinanza della sezione lavoro della Corte di Cassazione pubblicata l’8 aprile 2025.

La Cassazione accoglie il ricorso di un dipendente contro la srl, sua datrice di lavoro che lo aveva licenziato mediante accordo di conciliazione sottoscritto presso la sede aziendale alla presenza del rappresentante sindacale, al quale sindacato però il lavoratore non era iscritto.

In primo e secondo grado il ricorso del lavoratore era stato rigettato. I giudici di merito avevano ritenuto meramente secondario il requisito dell’imparzialità della sede presso cui viene sottoscritto il verbale di conciliazione, tuttavia, in sede di legittimità è stato evidenziato che l'accordo deve essere senz’altro raggiunto con un'assistenza sindacale effettiva, tale da porre il lavoratore nella consapevolezza di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, ma ciò non basta, anche la sede presso cui viene firmato l’accordo ha la sua rilevanza per la validità del verbale. 

Sottoscrivere l’accordo presso la sede di un sindacato, scrivono i giudici di legittimità, non costituisce un requisito formale, ma funzionale, in quanto finalizzato a garantire che la volontà del lavoratore sia espressa in modo genuino e non forzato. 

Essendo l'effettività dell'assistenza sindacale, la caratteristica centrale dell'accertamento della genuinità della volontà del lavoratore, ai fini dell'inoppugnabilità della conciliazione, la sede di stipula e di sottoscrizione dell'accordo non è un requisito secondario, ma concorre alla funzionalità delle forme prescritte in relazione alla suddetta effettività.

La conciliazione in sede sindacale non può, pertanto, essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest'ultima essere annoverata tra le sedi protette, mancando del carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all'assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore; ciò in quanto, in materia, il legislatore ha ritenuto necessaria una forma peculiare di protezione del lavoratore, realizzata attraverso la previsione dell'invalidità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l'introduzione di un termine di decadenza per l'impugnativa, così da riservare al lavoratore la possibilità di riflettere sulla convenienza dell'atto compiuto e di ricevere consigli al riguardo; tale forma di protezione giuridica non è necessaria (art. 2113, ultimo comma, c.c.) in presenza di adeguate garanzie costituite dall'intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi cd. protette, quali

la sede giudiziale (artt. 185 e 420 c.p.c.), le Commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 e 411, commi 1 data pubblicazione 08/04/2025 2, comma c.p.c.), le sedi sindacali (art. 411, comma 3, c.p.с.), oltre ai collegi di conciliazione e arbitrato (art. 412 - ter e - quater, c.p.c.);

Le modalità con cui l’accordo tra datore e lavoratore invece è stato sottoscritto nel caso di specie (sottoscrizione dal datore di lavoro e dal lavoratore, seppure alla presenza di un rappresentante sindacale, presso i locali della società) non soddisfano i requisiti normativamente previsti ai fini della validità delle rinunce e transazioni in base alle disposizioni citate, dato che la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla presenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, per assicurare la libera formazione della volontà del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l'assenza di condizionamenti.

Cassata, quindi, la sentenza d’appello e invalidato l’accordo di conciliazione, il licenziamento si riapre al dibattito davanti ai giudici del rinvio.