Fisco

Variazione in diminuzione dell'IVA per i bonus quantitativi


Il bonus riconosciuto dal fornitore al cliente per il raggiungimento di un prestabilito volume di vendite si concretizza in uno sconto o abbuono previsto contrattualmente che, ai fini IVA, consente al fornitore di rettificare la fattura di vendita originaria, recuperando in detrazione l’imposta corrispondente alla riduzione di prezzo praticata.

è quanto ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5675 del 4 marzo 2025, che ha avuto origine dalla contestazione avanzata dall’Ufficio nei confronti di una società, esercente attività di commercio di autoveicoli, per la mancata regolarizzazione delle note di variazione in diminuzione dell’IVA emessa dalla casa madre a fronte dello sconto concesso per il raggiungimento di determinati obiettivi di vendita.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, esistono tre tipologie di bonus:

  • i bonus quantitativi, ossia le assegnazioni corrisposte in relazione ad attività proprie del cliente, che incidono sul volume d’affari del fornitore;
  • i bonus qualitativi, per i quali le corrispondenti erogazioni sono corrisposte non a fronte dell’attività tipicamente svolta dal cliente, bensì con riferimento ad operazioni collaterali, finalizzate all’ampliamento delle vendite e alla fidelizzazione della clientela, come operazioni di marketing e altre specifiche obbligazioni di fare;
  • i bonus misti, per i quali il riconoscimento è condizionato al conseguimento di obiettivi sia qualitativi sia quantitativi.

Nella seconda tipologia di bonus, la prestazione viene assoggettata al regime impositivo ordinario se sussiste il nesso di corrispettività tra la somma corrisposta dal fornitore e l’esecuzione, da parte del beneficiario, di specifiche obbligazioni di fare riconducibili alla categoria delle prestazioni di servizi, ex art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972. Nella terza tipologia di bonus, invece, il riconoscimento del premio dipende, a sua volta, dall’adempimento di obbligazioni qualitative non autonome, ma funzionali alla realizzazione dell’obiettivo quantitativo.

Nella fattispecie in esame, il giudice d’appello ha accertato che si tratta di sconti concessi per il raggiungimento di determinati obiettivi di vendita, annoverabili nell’ambito della prima tipologia di bonus, vale a dire quelli quantitativi, che si concretizzano con la remunerazione dell’attività svolta in via ordinaria del cliente, ossia la vendita di autovetture e che incide sul volume d’affari del fornitore.

Ad avviso della Suprema Corte, in applicazione del principio di neutralità, ai bonus quantitativi si applica il trattamento IVA riservato agli “abbuoni o sconti previsti contrattualmente” di cui all’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, che impone ad entrambe le parti dell’operazione l’adempimento di specifici oneri formali volti, sostanzialmente, a modificare ex post i dati relativi al corrispettivo e alla imposta indicati nell’originaria fattura.

A tal fine, il fornitore è tenuto ad emettere una nota di accredito a favore del cliente, con indicazione dell’importo corrispondente alla riduzione di prezzo praticata, sul quale liquida l’imposta, con applicazione della medesima aliquota IVA della fattura originaria, in modo da precostituirsi il titolo cartolare idoneo a portare in detrazione - assumendo figurativamente la posizione del cessionario/committente – l’imposta evidenziata nella nota di credito.

Il fornitore deve perciò annotare la variazione nel proprio registro degli acquisti ai sensi dell’art. 25 del D.P.R. n. 633/1972, come se si trattasse di una fattura passiva, mentre il cliente che riceve la nota di credito deve, in corrispondenza, annotare la variazione nel proprio registro delle fatture o dei corrispettivi, ai sensi degli artt. 23 e 24 del D.P.R. n. 633/1972.

In conclusione, la pretesa erariale è stata ritenuta infondata, avendo il fornitore legittimamente emesso la nota di variazione in diminuzione della base imponibile e dell’IVA per il bonus riconosciuto alla società contribuente.