Fisco

Svalutazione delle partecipazioni: per la deduzione si deve confrontare il patrimonio netto iniziale e finale


Per la deduzione dalla base imponibile di una svalutazione della partecipazione in società non quotate si deve confrontare il patrimonio netto iniziale con quello finale con la tecnica di omogeneizzazione.

La Cassazione ha accolto il ricorso della società con Ordinanza depositata il 19 febbraio 2025.

Nella vicenda che sta alla base del ricorso, l’Agenzia delle entrate, in esito a verifica fiscale, aveva notificato alla ricorrente un avviso di accertamento con il quale riprendeva a tassazione un maggiore imponibile ai fini Ires con le sanzioni. La pretesa originava dall’indebita deduzione della svalutazione di due partecipazioni della società contribuenti poiché dal confronto dei patrimoni netti delle due società non erano emerse diminuzioni di sorta.

Per l’anno di imposta oggetto di accertamento, il 2003, la materia della valutazione fiscale dei titoli non negoziati in mercati italiani o esteri era regolata, dagli articoli 61, comma 3, lett. B) e 66, comma 1-bis, del TUIR del testo previgente.

Tali disposizioni, prevedevano che il valore minimo da prendere come riferimento per la formazione del reddito d’esercizio andasse determinato riducendo il valore unitario in misura proporzionalmente corrispondente alle diminuzioni patrimoniali risultanti dal confronto tra il bilancio regolarmente approvato dalle società o enti emittenti anteriormente alla data in cui le azioni vennero acquistate e l’ultimo bilancio o, se successive, le deliberazioni di riduzione del capitale per perdite.

Dunque, ai fini della valutazione fiscale dei titoli non negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri si deve tener conto di tutte le variazioni significative intervenute nel periodo d’osservazione, mediante la tecnica di indagine contabile che consenta di rendere comparabili grandezze che altrimenti sarebbero disomogenee. Il confronto tra bilanci formalmente approvati con delibera non è sufficiente.

Tale processo può determinare il decremento del patrimonio netto iniziale per via della riduzione del capitale sociale per esuberanza o della distribuzione di riserve di capitale, oppure il decremento di quello finale - per un importo pari all’ammontare dei versamenti e delle eventuali remissioni di debito effettuate dai soci a copertura delle perdite - espressamente previsti negli atti societari.

Spetta poi al giudice di merito accertare se la variazione ha natura obiettiva o vi sia una volontà elusiva del contribuente.

Nel caso in esame, i giudici di merito hanno trascurato di rendere effettivamente confrontabili i patrimoni netti di riferimento, ignorando intervenute variazioni patrimoniali di possibile rilievo in base alla disciplina fiscale delle partecipazioni.