Accollo fiscale: la Cassazione ribadisce l’illegittimità anche prima del 2019
Con l’ordinanza n. 3930 del 16 febbraio 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’accollo fiscale con estinzione del debito tramite compensazione di crediti d’imposta da parte dell’accollante è sempre stato illegittimo, anche prima dell’introduzione dell’espresso divieto normativo con l’art. 1 del D.L. 124/2019. La pronuncia, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, si fonda sul principio secondo cui, in materia tributaria, la compensazione è ammessa solo nei casi previsti dalla legge e non può essere estesa a situazioni non disciplinate.
Il caso esaminato dalla Cassazione
La vicenda trae origine da un atto di recupero dell’Agenzia delle Entrate relativo agli anni 2016-2018, con cui veniva contestata a una società la compensazione di crediti d’imposta con debiti derivanti da accolli intervenuti con soggetti terzi. La società aveva impugnato l’atto e ottenuto ragione nei due gradi di merito, sulla base del fatto che l’art. 8 della L. 212/2000 (Statuto del contribuente) ammette l’accollo tributario e che il divieto di compensazione sarebbe stato introdotto solo con il D.L. 124/2019.
La Cassazione ha ribaltato l’esito del giudizio, affermando che il divieto non nasce con la norma del 2019, ma è insito nei principi generali della compensazione tributaria, disciplinata dall’art. 17 del D.Lgs. 241/1997, il quale richiede che debito e credito siano nella titolarità dello stesso soggetto.
L’orientamento della Suprema Corte
- Secondo la Corte, l’accollo fiscale con compensazione di crediti dell’accollante non ha mai trovato legittimazione normativa, in quanto:
- Il debito tributario resta sempre in capo all’accollato e l’Erario non può considerare l’accollante come contribuente.
- L’assenza di identità soggettiva tra accollato e accollante impedisce la compensazione ex art. 17 D.Lgs. 241/1997.
- La Risoluzione 140/E/2017 dell’Agenzia delle Entrate non introduceva nuove regole, ma si limitava a chiarire un principio già insito nell’ordinamento.
La pronuncia conferma quindi un orientamento consolidato, già espresso in altre decisioni (Cass. 9353/2024; Cass. 23934/2024), secondo cui la compensazione tra debiti e crediti fiscali non segue le regole civilistiche degli artt. 1241 ss. c.c., ma è disciplinata in modo più restrittivo dal diritto tributario.
Conseguenze pratiche
La sentenza ha un impatto rilevante per i soggetti che in passato hanno utilizzato l’accollo fiscale con compensazione. Anche per periodi d’imposta antecedenti al 2019, l’Amministrazione finanziaria può contestare l’indebita compensazione e applicare le relative sanzioni:
- 30% dell’importo per compensazione di crediti non spettanti (art. 13 co. 4 D.Lgs. 471/1997).
- Dal 100% al 200% per compensazione di crediti inesistenti (art. 13 co. 5 D.Lgs. 471/1997).
- Se la compensazione indebita supera i 50.000 euro annui, si configura il reato di indebita compensazione (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000).
Il legislatore, con il D.L. 124/2019, ha poi rafforzato il divieto, stabilendo che la compensazione indebita equivale a un omesso versamento, con sanzioni più severe per accollante e accollato.
Conclusioni
L’ordinanza n. 3930/2025 della Cassazione fornisce un’ulteriore conferma di un orientamento ormai consolidato: l’accollo fiscale con compensazione di crediti d’imposta non è mai stato ammesso, indipendentemente dall’entrata in vigore del D.L. 124/2019. Per i contribuenti, ciò comporta la necessità di rivedere eventuali operazioni pregresse, valutando le possibili contestazioni e le conseguenze sanzionatorie derivanti da utilizzi distorti di tale strumento.