Visto di conformità sulle dichiarazioni. Per la Corte Costituzionale è prerogativa esclusiva dei professionisti abilitati
Con la sentenza n. 144/2024, la Corte Costituzionale, ritenendo infondate le questioni di legittimità costituzionale relative all’estensione del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi ai tributaristi, ha bocciato il ricorso dell’Associazione dei tributaristi LAPET, precisando che sul tema del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi, nessuna equiparazione è possibile tra i commercialisti abilitati e iscritti agli albi e le professioni non ordinistiche.
La questione è sorta innanzi ai giudici costituzionali, a seguito della decisione del Consiglio di Stato di sospendere il giudizio promosso dall’Associazione Nazionale dei Tributaristi Lapet, che aveva sollevato motivi di incostituzionalità sull’art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 in merito al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi, rimettendo alla Corte Costituzionale tutte le valutazioni sulla disputa.
La Corte Costituzionale, dunque, con l’odierna pronuncia ha confermato la legittimità della norma che consente di rilasciare il visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi e Iva esclusivamente agli appartenenti agli ordini professionali e nello specifico:
- agli iscritti agli Albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro» (lettera a art. 35 comma 3 D.Lgs. n. 241/1997);
- ai soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria
La Consulta respinge, quindi, le richieste dell’Associazione Lapet dei tributaristi che si era rivolta al Consiglio di Stato, sostenendo l’illegittimità costituzionale dell’articolo 35, comma 3, del Dlgs 241/1997 rispetto agli articoli 3, 41 e 117, comma 1, della Costituzione.
Nella loro sentenza i giudici precisano che: "la scelta operata dal legislatore non è sproporzionata, in quanto una disciplina meno restrittiva, che consentisse il rilascio del visto di conformità a chiunque presti liberamente consulenza fiscale, non offrirebbe le medesime garanzie di attitudine, di affidabilità e di sottoposizione dei professionisti a controlli stringenti, che possono condurre alla sospensione o alla cessazione della loro attività".
Pertanto, solo i professionisti individuati attraverso il richiamo della circoscritta disposizione normativa regolamentare possono considerarsi abilitati al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi trasmesse all’amministrazione finanziaria.
Non è ammessa nessuna interpretazione estensiva della norma, in quanto, nel rilascio del visto di conformità è sotteso un rilevante interesse pubblico, che non si risolve nella mera predisposizione e trasmissione delle dichiarazioni o nella tenuta delle scritture e dei dati contabili, ma è diretto ad agevolare e rendere più efficiente l’esercizio dei poteri di controllo e di accertamento dell’amministrazione finanziaria, con assunzione della relativa responsabilità”.
Soddisfatti i commercialisti: “Si tratta – scrive il presidente del CNDCEC de Nuccio – di organismi associativi a partecipazione obbligatoria cui il legislatore statale ha affidato poteri, funzioni e prerogative, sottoposti a vigilanza da parte di organi dello Stato-apparato, tutti preordinati alla tutela di pregnanti interessi di rilievo costituzionale, connessi all’esercizio di attività professionali”.
“Tali poteri, funzioni e prerogative sono dunque più estesi ed effettivi di quelli esercitati dalle associazioni previste dalla legge n. 4 del 2013 – prosegue il presidente dei commercialisti italiani –, in quanto sottoposti a diretta vigilanza da parte di organi statali e corredati da incisive potestà disciplinari nei confronti degli iscritti, che possono determinare, tra l’altro, la sospensione o la radiazione, con conseguente impossibilità (temporanea o definitiva) di esercitare legittimamente la professione, e quindi tutte le attività per cui è richiesta l’iscrizione all’albo. A ciò va aggiunto che il legittimo accesso agli albi presuppone il superamento di un apposito esame di Stato diretto alla verifica dei requisiti necessari per l’esercizio della professione, non previsto per l’iscrizione alle citate associazioni”.