Fisco

Cessione di ramo d’azienda, per la Cassazione le passività vanno escluse dal calcolo della base imponibile


L’inerenza delle passività non sussiste solo quando gli investimenti ovvero le passività siano riferibili ad operazioni idonee a produrre reddito, poiché la riferibilità si relaziona non ai ricavi in sé, ma all’oggetto dell’impresa, inoltre, l’articolo 50 del D.P.R. 26 aprile 1986 , n. 131, interpretato alla luce della Disciplina comunitaria, impone che la base imponibile vada determinata sulla base del valore dei beni e dei diritti conferiti al netto delle passività e degli oneri inerenti al bene o al diritto trasferito, escludendo le passività che non sono collegate all’oggetto del trasferimento.


Attraverso questa conclusione, la Corte di Cassazione (sentenza del 30 gennaio 2024, n. 2820) ha cassato la sentenza con cui la Commissione Tributaria regionale della Lombardia aveva respinto in parte l’appello di una società avverso la decisione dei giudici di prime cure per aver disconosciuto le passività dell’azienda, in quanto risultanti dalle scritture contabili.


Cosa era accaduto?


La società ricorrente aveva versato le imposte nell’ambito di una cessione di ramo d’azienda e si era vista raggiungere da un avviso di accertamento del Fisco che rideterminava in rialzo il valore della cessione, calcolando tutto secondo valori di estimo legati al settore e all’ambito geografico, parametri valutati corretti dal giudice di merito, il quale aveva però altresì accolto la correttezza dell’esclusione dal calcolo della base imponibile delle passività verso le banche, in quanto, a detta del giudicante, non rientrano nel perimetro dell’attività aziendale, poichè non inerenti all’attività d’impresa, qualificandoli come accollo di debiti.

La società, quindi, aveva promosso ricorso per Cassazione, ritenendo che i giudici di merito avessero deciso la questione, violando, tra gli altri, in particolare, l’articolo 51 del D.P.R. n. 131/196, secondo cui il valore dell’azienda si determina in base alla somma dei valori dell’attività, ossia dei valori dei beni materiali e immateriali, compreso l’avviamento, sottraendo le passività che risultano dalle scritture contabili obbligatorie e da atti aventi data certa.

A detta dell’Agenzia delle entrate, invece, le passività dovevano essere espunte dal calcolo della base imponibile dell’imposta di registro, anche se regolarmente contabilizzate, in quanto non era stata provata la loro inerenza all’attività dell’azienda ceduta.

La Corte di Cassazione, nell’ambito della sua decisione, introduce la spiegazione dell’articolo 51 citato, chiarendo che tale disposizione esplicita che la base imponibile dell’imposta di registro va individuata nella somma del valore dei beni dichiarato dalle parti in atto e in mancanza o se superiore, nel corrispettivo pattuito, precisa altresì al comma due il suddetto articolo, che per gli atti aventi ad oggetto aziende, per “valore” occorre riferirsi al valore venale in comune commercio; mentre al comma 4 precisa che per atti che hanno ad oggetto aziende e diritti reali su esse, il valore dichiarato dalle parti, è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento (…) al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa.

In particolare, evidenziano inoltre gli ermellini, l’inerenza delle passività non si ha solo quando gli investimenti ovvero le passività sono relativi ad operazioni capaci di generare reddito, proprio perché la nozione di “riferibilità” si relaziona all’oggetto dell’attività e non ai ricavi in sé (la più recente per tutte Cass. n. 12730/2018).


L’accollo da parte del cessionario del debito del cedente deve ritenersi parte del corrispettivo e contribuisce a formare la base imponibile, poiché, scrivono i giudici della Cassazione, l’accollo in tali circostanze rappresenta una modalità di determinazione e corresponsione del prezzo di acquisto, così come concordato in ragione dell’effettivo valore assegnato dalle parti all’azienda, il quale dovrà essere individuato, ai fini dell’imposta di registro, non al netto, ma al lordo delle passività non inerenti. Ciò trova riscontro nell’articolo 43, comma 2 D.P.R. n. 131/1986, secondo cui “i debiti e gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile”; tale statuizione spiega che gli oneri e le passività che il cessionario si accolla in virtù della vendita, costituiscono parte del corrispettivo e quindi un vantaggio che il cedente trae dalla cessione, un surplus da aggiungersi al prezzo dichiarato.


Concludendo, per la Cassazione, la base imponibile per il calcolo dell’imposta di registro dovuta in seguito a cessione di ramo d’azienda, va calcolata sulla base del valore dei beni e dei diritti conferiti al netto delle passività e degli oneri inerenti al bene o al diritto trasferito; sono escluse le passività che non sono connesse all’oggetto del trasferimento.