Contraffazione marchi e brevetti. Come calcolare il danno
La Fondazione Nazionale di ricerca dei dottori commercialisti ha recentemente pubblicato un documento di analisi sul complesso tema riferito alla quantificazione del danno nell’ambito della contraffazione di marchi e brevetti. Lo studio approfondisce alcune tematiche già trattate nella pubblicazione “La quantificazione del risarcimento del danno per la violazione da parte dell’ISP della disciplina sul diritto d’autore online”, del 20 luglio 2023.
Dopo una breve disamina introduttiva sulla normativa internazionale e nazionale riferita alla protezione dei marchi e dei brevetti, in cui ci si sofferma, in particolare, sulla disciplina penale italiana in materia di contraffazione, facendo menzione, ad esempio, dell’art. 473 c.p., rubricato “Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni”, che tutela il consumatore da violazioni di tale natura, dell’art. 517 c.p. sulla vendita di prodotti industriali con segni mendaci e dell’articolo 517-ter c.p., che sanziona la fabbricazione e il commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale, lo studio elenca sinteticamente le sanzioni che possono essere disposte da una sentenza che accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale, come l’inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell’uso delle cose costituenti violazione del diritto e l’ordine di ritiro definitivo dal commercio delle medesime cose nei confronti di chi ne sia proprietario o ne abbia comunque la disponibilità, la distruzione di tutte le cose costituenti la violazione, se non vi si oppongono motivi particolari, a spese dell’autore della violazione, nonché altre sanzioni quali sequestri, ordini di ritiro temporaneo ed indennizzi in sostituzione di tali sanzioni al ricorrere di determinati presupposti.
Successivamente, lo studio analizza l’art. 125 CPI, rubricato “Risarcimento del danno e restituzione dei profitti dell’autore della violazione” e aggiornato dalle direttive europee in materia di tutela della proprietà intellettuale, nonché frutto di interpretazioni giurisprudenziali sedimentatesi nel tempo.
Al primo comma, l’articolo suddetto rimanda ai criteri civilistici di parametrazione delle varie voci di danno funzionali alla liquidazione del risarcimento.
Il documento prosegue analizzando le metodologie di calcolo utilizzate per garantire la migliore soddisfazione al soggetto leso, partendo da una premessa, ossia che nella contraffazione di marchi e brevetti, il rimedio della reintegra nello status quo ante, non assicurerebbe al danneggiato una reale soddisfazione sul danno patito, poiché in tale contesto, in base alle circostanze, dice correttamente lo studio, si aggiungono voci, sia di danno emergente che di lucro cessante, che influenzano la fattispecie concreta, astraendo le necessità riparatorie rispetto alla semplice riparazione per mancato guadagno o per lesione dell’immagine del titolare del diritto.
Per superare questo ostacolo, dottrina e giurisprudenza hanno elaborato nel tempo diverse metodologie tese a migliorare la soddisfazione del danneggiato.
Per scegliere il criterio del calcolo più adatto alla situazione, si prende in considerazione la “discovery”. I dati e le informazioni da essa fornite fanno riferimento principalmente “ai volumi e alle marginalità delle parti in causa; ai volumi e le marginalità dei competitor; ad altre informazioni desumibili dalle analisi del mercato di riferimento”.
La disposizione principale del calcolo del danno emergente e del lucro cessante ai fini del risarcimento del danno causato dall’avvenuta contraffazione è l’art. 125 CPI, come modificato dal comma 1 dell’art. 17 del d.lgs. n. 140/2006 37 (di recepimento della direttiva n. 2004/438/CE), che
al suo primo comma fa riferimento al criterio del c.d. “mancato profitto”, ossia quello di costituzione di una base risarcitoria per il danno arrecato al soggetto leso, comprendente “le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, quale il danno morale arrecato al titolare dalla violazione”.
Un criterio questo, come del resto precisa lo studio, non sufficiente per un integrale ed effettivo risarcimento del danno patito.
Il documento poi continua menzionando il cosiddetto “Panduit Test” o “Test DAMP”, in cui si usano i c.d. “criteri DAMP” per calcolare con un margine di probabilità alto il valore del danno economico subito dal soggetto leso. I criteri vengono sintetizzati nell’acronimo DAMP (Domanda esistente, Assenza di sostituti, capacità Manifatturiera e Mercantile, Profitto perso) e considerano una serie di analisi di mercato del settore di appartenenza delle rispettive aziende coinvolte e delle caratteristiche di queste ultime, nonché delle analisi comparative con il numero dei prodotti venduti negli anni precedenti dal soggetto leso per svolgere un calcolo probabilistico di quelli che avrebbe venduto se non vi fosse stata l’attività contraffattoria, poi si passa ad esaminare gli altri criteri solitamente impiegati, come il criterio c.d. del “giusto prezzo”, “giusta royalty”, “equa royalty” o “royalty virtuale”, che liquida il lucro cessante “in un importo non inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso” e il criterio della c.d. “retroversione” o “restituzione” degli utili, esplicato nel comma 3 dell’art. 125 CPI.
Infine, lo studio passa in rassegna le più recenti sentenze della Cassazione, in cui gli ermellini hanno affrontato la tematica della quantificazione del danno da contraffazione, fornendo utili indicazioni sul metodo da selezionare e chiarendo che la metodologia più adatta va accuratamente valutata in base alle circostanze concrete del fatto.