Rapporto di lavoro

La durata del periodo di prova


A seguito degli ultimi interventi legislativi, si è sentito parlare molto della durata del periodo di prova. Il patto di prova, ex art. 2096 cc, è inteso come quella clausola che viene apposta al contratto per consentire alle parti un periodo di reciproca conoscenza.

Possiamo così riassumere gli aspetti principali:

  • nel rapporto tra il datore di lavoro e il lavoratore può essere espletata una sola volta, a meno che il datore di lavoro non adibisca il lavoratore a nuove e differenti mansioni, per le quale ritiene necessario che lo stesso svolga un nuovo periodo per verificarne l’idoneità. Infatti, oltre la forma scritta ad substantiam, altro requisito indefettibile è l’indicazione delle mansioni a cui sarà adibito il lavoratore;
  • durante il periodo di prova le parti sono libere di recedere senza giustificazione né preavviso, ovvero indennità sostitutiva. Tuttavia, per tutelare il lavoratore, si dispone che il recesso datoriale non possa essere arbitrario, ma debba comunque essere collegato all’esito della prova e non basato su un motivo illecito. Viene, infatti, considerato legittimo quando risulta essere fondato sull’accertamento e la valutazione degli elementi di fatto della capacità professionale del lavoratore e degli elementi concernenti il complessivo comportamento dello stesso;
  • laddove le parti, invece, decidano di proseguire il rapporto, il contratto diventerà definitivo e il periodo sarà computato nell’anzianità del lavoratore.

Come anticipato, oggetto dei recenti interventi legislativi è stata la durata del periodo di prova.

La contrattazione collettiva determina la durata del periodo di prova in giorni di calendario o giorni di effettivo lavoro in base al livello di appartenenza del lavoratore e a seconda dell’anzianità maturata. In merito a tale previsione appare rilevante un orientamento giurisprudenziale secondo il quale si dispone che laddove la contrattazione collettiva non preveda i parametri suddetti in modo esplicito, ma faccia solo un richiamo a giorni ovvero mesi si devono conteggiare come giorni i giorni di effettivo lavoro e come mesi i giorni di calendario.

Sul punto è intervenuto il Decreto Legislativo n. 104 del 27 giugno 2022, cd Decreto Trasparenza, disponendo all’art. 7 comma 1 che il periodo di prova non possa essere superiore a sei mesi, salva la durata inferiore prevista dalle disposizioni della contrattazione collettiva. Prosegue poi richiedendo, al comma 2, che nel caso di rapporti di lavoro a termini, la prova venga stabilita in modalità proporzionale alla durata del contratto ed alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego.

Il legislatore non ha fornito un metodo per la riparametrazione della durata del periodo di prova: si sono così susseguiti una serie di ipotesi di calcolo differenti, che hanno generato non poca confusione.

Con l’ultimo intervento legislativo, il Decreto Lavoro, n. 48 del 4 maggio 2023 è stata fatta luce sulla modalità di riparametrazione prevedendo che: il periodo di prova nel contratto a tempo determinato deve essere pari ad un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio rapporto e comunque non inferiore a due giorni e non superiore a quindici per i contratti con durata superiore a sei mesi, ovvero trenta per quelli con durata superiore a sei mesi ed inferiore a dodici mesi, fatte salve previsioni più favorevoli della contrattazione collettiva.