Vendita immobile estero di cittadino italiano
Il trattamento fiscale della vendita di un immobile estero posseduto da un contribuente residente sia in Italia che in altro Stato
L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta n. 122/2023, ha fornito importanti chiarimenti in merito alla tassazione degli immobili situati all’estero e posseduti da cittadini italiani che vivono e lavorano in Italia e in un altro Stato.
La Risposta è scaturita da un quesito posto da un contribuente italiano, il quale ha dichiarato di aver vissuto nel medesimo periodo d’imposta sia in un paese europeo, ove ha un contratto di lavoro ancora in essere, sia in Italia, per la maggior parte dell’anno di riferimento. Il richiedente ha segnalato, altresì, di aver venduto, sempre nello stesso periodo d’imposta, un immobile acquistato da oltre cinque anni in un altro paese europeo, ricavandone una plusvalenza già assoggettata ad imposizione nel paese ove è situato l’immobile.
Tutto ciò premesso, il contribuente ha richiesto all’Agenzia delle Entrate di pronunciarsi in merito a quale Stato risulti titolare della potestà impositiva sul reddito in esame e, in caso di sussistenza di una potestà impositiva italiana sulla plusvalenza realizzata, relativa all’immobile venduto, quale sia il suo corretto trattamento fiscale.
L’Agenzia, preliminarmente, fa presente che l’articolo 2, comma 2, del DPR n.917/1986 (Testo Unico delle imposte sui redditi - TUIR) considera fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza, in conformità a quanto prescritto dal codice civile. Le condizioni sopra indicate sono tra loro alternative e “la sussistenza anche di una sola di esse per la maggior parte del periodo d’imposta è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia”.
Oltre alla normativa italiana, occorre, tuttavia, considerare le disposizioni internazionali contro le doppie imposizioni, contenute in accordi conclusi dall’Italia con gli Stati esteri e ratificate con legge. Nel caso specifico, sulla base delle affermazioni contenute nell’istanza - non oggetto di verifica da parte dell’Amministrazione poiché si tratta di “elementi fattuali che esulano dall’istituto dell’interpello ordinario” - il contribuente è stato considerato fiscalmente residente in Italia nel periodo d’imposta in questione, obbligato, quindi, a dichiarare al fisco italiano i redditi ovunque prodotti.
Come è noto, i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono assoggettati ad imposizione nel nostro paese, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del TUIR, sul reddito complessivo, formato da tutti i redditi posseduti per l’intero periodo d’imposta, al netto degli oneri deducibili ai sensi dell’articolo 10 del medesimo TUIR.
In relazione al reddito derivante dall’alienazione del bene immobile estero, è necessario, comunque, esaminare il contenuto della Convenzione per evitare la doppia imposizione, stipulata tra l’Italia e il paese ove è situato l’immobile, e ratificata con apposita legge.
Tale Convenzione prevede la tassazione sia in Italia che nell’altro paese degli “utili che un residente di uno degli Stati ritrae dall’alienazione di beni immobili, situati nell’altro Stato”.
Quindi il reddito derivante dal possesso del predetto immobile è, ai sensi della citata norma convenzionale, assoggettabile ad imposizione sia in Italia, sia nell’altro paese ove esso è ubicato.
Nell’ambito dell’imposizione in Italia, l’articolo 67, comma 1, lettera b), del TUIR prevede la tassazione delle plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che, per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione, sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari.
Dal dettato normativo di quest’ultima disposizione è agevole desumere che in caso di cessione a titolo oneroso di immobili acquistati o costruiti da oltre cinque anni non è prevista alcuna imposizione in Italia delle relative plusvalenze.
Conseguentemente l’Agenzia, sul presupposto della veridicità e completezza della fattispecie rappresentata nell’istanza, ritiene che il reddito derivante dalla cessione dell’immobile estero non dovrà essere assoggettato “ad imposizione nel nostro Paese e, di conseguenza, non dovrà essere indicato nella dichiarazione dei redditi, presentata dal Contribuente, relativa all’anno d’imposta di riferimento”.