Diritto

Il datore di lavoro può leggere la posta elettronica aziendale del lavoratore?


 

I controlli eseguiti dal datore di lavoro sull’email aziendale del lavoratore contrastano con il comma 3 dell'art. 4 della l. 300/1970, qualora il lavoratore non sia stato adeguatamente informato né sulla concreta possibilità, né tanto meno sulle modalità relative a eventuali controlli da parte del datore di lavoro sul proprio computer e sulla propria e-mail aziendale.

Con l’entrata in vigore del d.lgs. 151/2015, c.d. Jobs Act, che ha modificato in senso più restrittivo l’art. 4 della l. 300/1970, si è stabilito che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale non si applicano agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. In sostanza, dopo il cd. Jobs Act, gli elementi raccolti tramite tali strumenti possono essere utilizzati anche per verificare la diligenza del dipendente nello svolgimento del proprio lavoro, con tutti i risvolti disciplinari e di altra natura connessi. Infatti, la giurisprudenza di legittimità maggioritaria (ad esempio, Cass. civ., n. 4746 del 2002; Cass. Civ., n. 32760 del 2021)  ha affermato che “ai fini dell'operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori previsto dall’art. 4 della l. 300/1970 è necessario che il controllo riguardi (direttamente o indirettamente) l'attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori dell'ambito di applicazione della norma sopra citata i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (cosiddetti controlli difensivi), quali, ad esempio, i sistemi di controllo dell'accesso ad aule riservate o gli apparecchi di rilevazione di telefonate ingiustificate. Il suddetto art. 4 sancisce il divieto di utilizzazione di mezzi di controllo a distanza sul presupposto che la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva, vada mantenuta in una dimensione "umana", e cioè non esasperata dall'uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro.

Lo stesso articolo, tuttavia, prevede che esigenze organizzative, produttive ovvero di sicurezza del lavoro possano richiedere l'eventuale installazione di impianti ed apparecchiature di controllo, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. In tal caso è prevista una garanzia procedurale a vari livelli, essendo la installazione condizionata all'accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la rappresentanza sindacale unitaria. In tal modo, come è stato evidenziato da Cass. civ., n. 15892 del 2007, il legislatore ha inteso contemperare l'esigenza di tutela del diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza e quello del datore di lavoro, o, se si vuole, della stessa collettività, relativamente alla organizzazione, produzione e sicurezza del lavoro, individuando una precisa procedura esecutiva e gli stessi soggetti ad essa partecipi. Con la stessa sentenza, è stato però precisato che la "insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore", per cui "tale esigenza" "non consente di espungere dalla fattispecie astratta i casi dei c.d. controlli difensivi ossia di quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela di beni estranei al rapporto stesso". In tale ipotesi si tratta, infatti, comunque di un controllo c.d. "preterintenzionale" che rientra nella previsione del divieto "flessibile" di cui all'art. 4 citato, comma 1. 

E-mail aziendale del lavoratore e controllo da parte del datore di lavoro è legittimo: orientamento giurisprudenziale e …

Il comma 3 dell’art. 4 della l. 300 del 1970 sancisce che le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal d.lgs. 196/2003.

Innanzitutto, il comma 3 prevede che dev'essere fornita al lavoratore una informazione adeguata, nel senso che lo stesso deve essere portato a conoscenza della possibilità di essere assoggettato ai controlli, anche tecnologici, da parte del datore di lavoro. Questa informazione deve inoltre riguardare anche le modalità e i limiti con cui essi vengono posti in essere. L'informativa si considera adeguata se determina la consapevolezza in capo al lavoratore circa il fatto che gli strumenti che utilizza per svolgere la propria attività lavorativa producono delle informazioni che possono essere conosciute e utilizzate dal datore di lavoro a fini disciplinari. Di conseguenza, è da considerarsi illecito un controllo posto in essere senza che il lavoratore sia stato preventivamente messo a conoscenza circa la possibilità e le modalità di questi controlli.

In secondo luogo, il comma 3 prescrive il rispetto del d.lgs. 196/2003, c.d. codice privacy. Ciò significa che il controllo, che rappresenta una fase del trattamento dei dati personali, deve rispettare i principi dettati dalla normativa specifica prevista in materia di protezione di quei dati, ossia i principi di liceità, di correttezza, di necessità, di determinatezza della finalità perseguita, di pertinenza, di completezza, di non eccedenza.

Va sottolineato che la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo si è pronunciata in materia di controllo nella sentenza n. 61496/08 del 05 settembre 2017 e ha sostenuto che il lavoratore deve essere informato della possibilità del monitoraggio e dell'adozione di misure di controllo, che l'informazione deve essere chiara e fornita preventivamente, che deve essere verificato il grado di intrusione nella privacy del lavoratore, devono sussistere ragioni oggettive capaci di giustificare il monitoraggio, devono essere verificate le conseguenze del monitoraggio e devono, infine, essere predisposte garanzie adeguate affinché il datore di lavoro non possa accedere a dati che non siano stati preventivamente oggetto di informativa sulle modalità di acquisizione.

Infine, per quanto riguarda le conseguenze derivanti dalla violazione del comma 3, dell’art. 4 della l. 300/1970 si rileva che la giurisprudenza costante afferma l'inutilizzabilità della prova acquisita in questo modo.

… Linee Guida del Garante Privacy per posta elettronica

Il Provvedimento Generale dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali del 1° marzi 2007, che per quanto datato è ancora valido laddove conforme al Regolamento europeo sulla protezione dei dati n. 2016/679 (GDPR), nonché la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’art. 8, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ha come ratio quella di prescrivere ai datori di lavoro alcune misure, necessarie o opportune, per conformare alle disposizioni vigenti il trattamento di dati personali effettuato per verificare il corretto utilizzo nel rapporto di lavoro della posta elettronica e della rete Internet.

Occorre muovere da alcune premesse:

a) compete ai datori di lavoro assicurare la funzionalità e il corretto impiego di tali mezzi da parte dei lavoratori, definendone le modalità d´uso nell´organizzazione dell´attività lavorativa, tenendo conto della disciplina in tema di diritti e relazioni sindacali;

b)spetta ad essi adottare idonee misure di sicurezza per assicurare la disponibilità e l´integrità di sistemi informativi e di dati, anche per prevenire utilizzi indebiti che possono essere fonte di responsabilità (artt. 15, 31 ss., 167 e 169 del Codice);

c) emerge l’esigenza di tutelare i lavoratori interessati anche perché l’utilizzazione dei predetti mezzi, già ampiamente diffusi nel contesto lavorativo, è destinata ad un rapido incremento in numerose attività svolte anche fuori della sede lavorativa;

d) l’utilizzo di Internet da parte dei lavoratori può infatti formare oggetto di analisi, profilazione e integrale ricostruzione mediante elaborazione di log file della navigazione web ottenuti, ad esempio, da un proxy server o da un altro strumento di registrazione delle informazioni. I servizi di posta elettronica sono parimenti suscettibili (anche attraverso la tenuta di log file di traffico e-mail e l’archiviazione di messaggi) di controlli che possono giungere fino alla conoscenza da parte del datore di lavoro (titolare del trattamento) del contenuto della corrispondenza;

e) le informazioni così trattate contengono dati personali anche sensibili riguardanti lavoratori o terzi, identificati o identificabili. 

Il Provvedimento del Garante in esame, inoltre, ha precisato che il contenuto dei messaggi di posta elettronica – come pure i dati esteriori delle comunicazioni e i file allegati – riguardano forme di corrispondenza assistite da garanzie di segretezza tutelate anche costituzionalmente, la cui ratio risiede nel proteggere il nucleo essenziale della dignità umana e il pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali; un´ulteriore protezione deriva dalle norme penali a tutela dell´inviolabilità dei segreti. Tuttavia, con specifico riferimento all’impiego della posta elettronica nel contesto lavorativo e in ragione della veste esteriore attribuita all’indirizzo di posta elettronica nei singoli casi, può risultare dubbio se il lavoratore, in qualità di destinatario o mittente, utilizzi la posta elettronica operando quale espressione dell’organizzazione datoriale o ne faccia un uso personale pur operando in una struttura lavorativa. La mancata esplicitazione di una policy al riguardo può determinare anche una legittima aspettativa del lavoratore, o di terzi, di confidenzialità rispetto ad alcune forme di comunicazione. Tali incertezze si riverberano sulla qualificazione, in termini di liceità, del comportamento del datore di lavoro che intenda apprendere il contenuto di messaggi inviati all’indirizzo di posta elettronica usato dal lavoratore (posta "in entrata") o di quelli inviati da quest’ultimo (posta "in uscita"). É quindi particolarmente opportuno che si adottino accorgimenti anche per prevenire eventuali trattamenti in violazione dei principi di pertinenza e non eccedenza. Si tratta di soluzioni che possono risultare utili per contemperare le esigenze di ordinato svolgimento dell’attività lavorativa con la prevenzione di inutili intrusioni nella sfera personale dei lavoratori, nonché violazioni della disciplina sull’eventuale segretezza della corrispondenza.

In questo quadro è opportuno che:

  • il datore di lavoro renda disponibili indirizzi di posta elettronica condivisi tra più lavoratori (ad esempio, info@ente.it, ufficiovendite@ente.it, ufficioreclami@società.com, urp@ente.it, etc.), eventualmente affiancandoli a quelli individuali (ad esempio, m.rossi@ente.it, rossi@società.com, mario.rossi@società.it);
  • il datore di lavoro valuti la possibilità di attribuire al lavoratore un diverso indirizzo destinato ad uso privato del lavoratore; 
  • il datore di lavoro metta a disposizione di ciascun lavoratore apposite funzionalità di sistema, di agevole utilizzo, che consentano di inviare automaticamente, in caso di assenze (ad es., per ferie o attività di lavoro fuori sede), messaggi di risposta contenenti le "coordinate" (anche elettroniche o telefoniche) di un altro soggetto o altre utili modalità di contatto della struttura. É parimenti opportuno prescrivere ai lavoratori di avvalersi di tali modalità, prevenendo così l’apertura della posta elettronica. In caso di eventuali assenze non programmate (ad es., per malattia), qualora il lavoratore non possa attivare la procedura descritta (anche avvalendosi di servizi webmail), il titolare del trattamento, perdurando l´assenza oltre un determinato limite temporale, potrebbe disporre lecitamente, sempre che sia necessario e mediante personale appositamente incaricato (ad es., l´amministratore di sistema oppure, se presente, un incaricato aziendale per la protezione dei dati), l´attivazione di un analogo accorgimento, avvertendo gli interessati; 
  • in previsione della possibilità che, in caso di assenza improvvisa o prolungata e per improrogabili necessità legate all’attività lavorativa, si debba conoscere il contenuto dei messaggi di posta elettronica, l’interessato sia messo in grado di delegare un altro lavoratore (fiduciario) a verificare il contenuto di messaggi e a inoltrare al titolare del trattamento quelli ritenuti rilevanti per lo svolgimento dell’attività lavorativa. A cura del titolare del trattamento, di tale attività dovrebbe essere redatto apposito verbale e informato il lavoratore interessato alla prima occasione utile;
  • i messaggi di posta elettronica contengano un avvertimento ai destinatari nel quale sia dichiarata l’eventuale natura non personale dei messaggi stessi, precisando se le risposte potranno essere conosciute nell’organizzazione di appartenenza del mittente e con eventuale rinvio alla predetta policy datoriale.

Infine, nelle Linee Guida del Garante della Privacy, viene ribadito che nell’effettuare controlli sull’uso degli strumenti elettronici deve essere evitata un’interferenza ingiustificata sui diritti e sulle libertà fondamentali di lavoratori, come pure di soggetti esterni che ricevono o inviano comunicazioni elettroniche di natura personale o privata. L’eventuale controllo è lecito solo se sono rispettati i principi di pertinenza e non eccedenza. Nel caso in cui un evento dannoso o una situazione di pericolo non sia stato impedito con preventivi accorgimenti tecnici, il datore di lavoro può adottare eventuali misure che consentano la verifica di comportamenti anomali. Deve essere per quanto possibile preferito un controllo preliminare su dati aggregati, riferiti all’intera struttura lavorativa o a sue aree. Il controllo anonimo può concludersi con un avviso generalizzato relativo ad un rilevato utilizzo anomalo degli strumenti aziendali e con l’invito ad attenersi scrupolosamente a compiti assegnati e istruzioni impartite. L’avviso può essere circoscritto a dipendenti afferenti all’area o settore in cui è stata rilevata l’anomalia. In assenza di successive anomalie non è di regola giustificato effettuare controlli su base individuale. Va esclusa l’ammissibilità di controlli prolungati, costanti o indiscriminati.