Fisco

Partecipazione in società fallita. Escluso il regime forfetario


Con la Risposta n.422/2022, l’Agenzia delle Entrate ha escluso la possibilità di accedere al regime forfetario, di cui alla legge n.190/2014, anche per i soggetti aventi una partecipazione in una società di persone dichiarata fallita. 

La Risposta in esame è scaturita da una specifica istanza presentata da un contribuente, il quale ha dichiarato di svolgere dal 2020 la propria attività in regime di contabilità semplificata, non potendo fruire del regime forfetario - di cui all’art.1, commi 54-89, della legge n.190/2014 - poiché in possesso di una quota di partecipazione in una società in accomandita semplice, in qualità di socio accomandatario. La società partecipata è stata dichiarata fallita dal Tribunale territorialmente competente nel 2022; in relazione a tale sopravvenuta circostanza, il contribuente ha chiesto nell’istanza se, nel rispetto del non superamento della soglia dei ricavi fissata a 65.000 euro, può aderire al regime forfetario a partire dal 2023.

Nella Risposta fornita, l’Agenzia - dopo aver svolto un rapido excursus dell’evoluzione normativa e dei documenti di prassi emanati anche per quel che concerne le cause ostative alla fruizione del regime forfetario - sottolinea che, ai sensi dell’art.1, comma 57, lettera d) della citata legge n. 190/2014, non possono avvalersi di tale regime speciale “gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano, contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone, ad associazioni o a imprese familiari di cui all’articolo 5 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero che controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività d’impresa, arti o professioni”.

Quindi costituisce di diritto una causa ostativa la partecipazione in una società di persone, quale è la società in accomandita semplice.  

L’apertura del fallimento, dichiarato nei confronti di tale società, comporta che il soggetto fallito venga privato dell’amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti alla data di apertura della procedura e quelli che pervengono durante la stessa. 

Operativamente subentra “la figura del Curatore, che è l’organo del fallimento a cui è demandato il compito di gestire la procedura e di amministrare il patrimonio del soggetto fallito al fine di liquidarlo e di dare soddisfazione alle ragioni dei creditori ammessi al passivo mediante il pagamento dei loro crediti”.

Con la dichiarazione di fallimento, normalmente, l’attività d’impresa cessa e i beni aziendali sono destinati alla loro liquidazione per soddisfare i creditori. Tuttavia, ai sensi dell’art.104 della legge fallimentare (R.D. n.267/1942 e successive modifiche), è ammessa la continuazione, ancorché provvisoria, dell’attività, allorquando ciò sia funzionale ad una migliore liquidazione del complesso aziendale. Come previsto dalla predetta legge fallimentare, il proseguimento provvisorio dell’attività operativa è ammissibile sia al momento della dichiarazione di fallimento - qualora dall’interruzione possa derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori - sia in una fase successiva, su impulso del comitato dei creditori che si sia espresso favorevolmente.

Nel caso in cui la procedura concorsuale si chiuda per integrale pagamento dei creditori, il soggetto fallito, “riassume” nel suo patrimonio i beni del residuo attivo. In tale circostanza, se egli decide di cessare l’attività con una ripartizione del residuo attivo, “quest’ultimo sarà oggetto di tassazione in capo ai soci”. 

Da quanto sopra  indicato, emerge, secondo l’Agenzia, che “la dichiarazione di fallimento di una società di persone, in sé considerata, non vale ad escludere in radice la possibile percezione di un reddito di partecipazione in capo al socio, essendo possibile, nel corso della procedura, l’esercizio provvisorio dell’impresa o, dopo la chiusura del fallimento per soddisfacimento integrale dei creditori, a seguito di cessazione dell’attività con conseguente ripartizione del residuo attivo”.

Il che porta alla conclusione che, avuto riguardo al quesito posto nell’istanza, il possesso di una partecipazione in società di persone (snc e sas) costituisce una causa ostativa ai fini dell’accesso al regime forfetario, indipendentemente dalla situazione operativa in cui si trova la società partecipata.