Tribunale di Milano: licenziamento illegittimo per frasi ingiuriose via Whatsapp
È illegittimo il licenziamento per giusta causa irrogato al lavoratore per aver trasmesso tramite whatsapp ad un collega una serie di frasi ingiuriose. Tale circostanza non realizzerebbe una condotta diffamatoria essendo rivolta ad un soggetto determinato e non ad una moltitudine indistinta di persone.
Il caso affrontato da Trib. Mi, sez. lav., 30 aprile 2022, n. 1020, dott. Di Leo.
Una recente sentenza del Tribunale di Milano affrontava il caso di un lavoratore sottoposto a licenziamento per aver trasmesso alcune frasi ingiuriose tramite whatsapp ad un collega, aventi ad oggetto il responsabile della pianificazione dei turni. Il lavoratore, dopo essere stato sottoposto a sanzione disciplinare, inviava le proprie giustificazioni, attribuendo alle espressioni contestategli la natura di sfogo personale e momentaneo. Ciò nonostante, il datore di lavoro comunicava il licenziamento per giusta causa, lamentando una lesione del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore in seguito ai fatti contestati.
Il Tribunale giustificava il comportamento posto in essere dal lavoratore sulla base della natura privatistica del rapporto di corrispondenza instaurato dal ricorrente, tenendo conto dello strumento della chat privata scelto (whatsapp) e del comportamento processuale della società datrice di lavoro (contumace). Infatti, il Tribunale milanese, nella parte motivazionale della sentenza, scriveva che «i commenti offensivi nei confronti della società datrice di lavoro o del suo personale, non costituiscono giusta causa di recesso poiché - essendo diretti unicamente a una singola persona e non ad una moltitudine indistinta, e non essendo stato dimostrato un utilizzo della chat per fini lavorativi che eccedano la dimensione privatistica - vanno considerati come corrispondenza privata, chiusa e inviolabile e sono inidonei a realizzare una condotta illecita, in conformità al menzionato orientamento giurisprudenziale» (così anche Cass. civ., sez. lav., 10 settembre 2018, n. 21965).
In definitiva, i messaggi scambiati tramite whatsapp, essendo diretti unicamente ad uno o più soggetti determinati e non ad una moltitudine indistinta di persone, sono inidonei a realizzare una condotta diffamatoria. Di conseguenza, in tali ipotesi dovrà ritenersi illegittimo il licenziamento del lavoratore, poiché non sussistente una giusta causa.
La giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere illegittimo il licenziamento qualora il comportamento sanzionato al lavoratore abbia ad oggetto messaggi scambiati in una chat privata, perché considerata come una forma di corrispondenza chiusa ed inviolabile (Trib. Fi., sez. lav., 16 ottobre 2019). Diversa, invece, è l’ipotesi in cui le ingiurie siano trasmesse utilizzando la piattaforma Facebook, in quanto in questo caso la comunicazione sarebbe rivolta ad un numero illimitato di persone, e si realizzerebbe una condotta diffamatoria (Cass. civ., sez. lav., 27 aprile 2018, n. 10280).