Diritto

Dipendenti: presenze con badge. Per quanto vanno conservate?


Per quanto tempo il datore di lavoro deve conservare le registrazioni delle presenze dei lavoratori? C'è un obbligo di legge che impone un limite massimo di conservazione di questi dati? Oppure la decisione spetta all' azienda? In questo caso ultimo, quali criteri considerare per definire il giusto termine di conservazione delle timbrature?

Prima di rispondere a siffatte domande, è opportuno ricordare, lato privacy, che il Regolamento europeo n. 679/2016 impone a ciascun titolare del trattamento il rispetto del principio della limitazione della conservazione dei dati personali trattati. Secondo tale generale principio, i dati direttamente o indirettamente riferibili ad una persona fisica [dati personali] possono essere conservati dal titolare del trattamento fino al conseguimento della/e finalità di trattamento che viene dichiarata all’interessato in sede di raccolta del dato, successivamente queste informazioni devono essere cancellate o al più rese anonime e questo perché anche la conservazione del dato personale rientra tra le attività di trattamento dello stesso.

Recita, infatti, l’articolo 5 lettere e) del Regolamento n. 679/2016: “ I dati personali sono: […]
e) conservati in una forma che consenta l'identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati; i dati personali possono essere conservati per periodi più lunghi a condizione che siano trattati esclusivamente a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, conformemente all'articolo 89, paragrafo 1, fatta salva l'attuazione di misure tecniche e organizzative adeguate richieste dal presente regolamento a tutela dei diritti e delle libertà dell'interessato («limitazione della conservazione»)”.

Compreso, dunque, che, terminata la finalità del trattamento, i dati personali trattati non possono essere più conservati, ma andrebbero cancellati o anonimizzati, va da sé che per ciascun trattamento è opportuno individuare un termine di conservazione da riportare in un adeguato registro che andrebbe esibito all’autorità in caso di ispezione per provare l’accountability.

Per quanto riguarda lo specifico caso della registrazione delle presenze dei lavoratori, la principale finalità del trattamento di queste informazioni è quella di raccoglierle ai fini della compilazione del Libro Unico del lavoro, che, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, del D.M. 9 luglio 2008 deve essere conservato per almeno 5 anni dall’ultima registrazione.

Conseguentemente, come anche precisato dal Garante della Privacy nel provvedimento n. 350 dell’8 settembre 2016, i dati relativi alle presenze dei lavoratori possono essere conservati per 5 anni al fine di assicurare la regolare tenuta del LUL.

Scriveva, infatti, il Garante nel provvedimento succitato: “Per quanto riguarda la conservazione dei dati trattati […], posto che in base ai principi di necessità, di pertinenza e non eccedenza i tempi di conservazione delle diverse tipologie di dati personali eventualmente trattati devono essere individuati tenendo conto di ciascuna delle finalità in concreto perseguite, si ritiene che le società, intendendo avvalersi dei dati raccolti con il descritto sistema anche per la regolare tenuta del libro unico del lavoro, potranno conservare per cinque anni i dati necessari, limitatamente alle informazioni che nello stesso devono essere annotate in base alla disciplina di riferimento”.
In quell’occasione, l’Autorità ha altresì evidenziato che “Analogamente, con riferimento alla conservazione per finalità di fatturazione, potranno essere conservati per i tempi stabiliti dalla legge (conformemente a quanto disposto dall´art. 2220 c.c.) i soli dati necessari a perseguire la predetta finalità, come disciplinata dall’ordinamento”.

Il periodo di conservazione dei dati riferiti alla presenza dei lavoratori potrebbe, pertanto, allungarsi anche a dieci anni per finalità di natura contabile amministrativa o anche per difendere un diritto in sede giudiziaria; si tratta infatti di dati che, in caso di contenzioso, possono tornare utili come prove per tutelare un diritto.

D’altro canto, anche il lavoratore su queste informazioni a lui riferite potrebbe esercitare il diritto di accesso ex articolo 15 del Regolamento n. 679/2016 e chiedere al datore di lavoro la conferma dell’esistenza delle stesse e di riceverne copia.
Su questo punto, giova citare un vecchio provvedimento del Garante della privacy del 1999, in cui l’Autorità già precisava, a suo tempo, che “Anche le rilevazioni effettuate mediante "badge" magnetico e conservate in un archivio informatico costituiscono dati personali e possono essere oggetto di una richiesta di accesso”. Indipendentemente, dunque, dal supporto che le contiene le registrazioni delle presenze sono dati personali e sulle stesse il lavoratore può esercitare il proprio diritto di accesso.

Recentemente, sull’argomento, è intervenuto anche il Tribunale di Monza il quale, in una ordinanza dell’Ottobre 2021, interpretando in combinato la disciplina sul Libro Unico del Lavoro, in cui devono essere riportati i giorni e le ore lavorate dai dipendenti e il Regolamento n. 679/2016, ha stabilito che il datore di lavoro è tenuto a conservare per almeno 5 anni i rilievi sulle presenze dei lavoratori effettuati tramite badge, rendendoli disponibili al dipendente che dovesse farne richiesta entro i medesimi termini di conservazione delle risultanze del LUL.

Si raccomanda, dunque di conservare le informazioni riferite alla presenza del lavoratore per almeno cinque anni, se la finalità di conservazione è strettamente connessa alla compilazione del LUL, ma di considerare di estendere la conservazione a dieci anni, qualora la finalità di trattamento del dato sia anche di natura contabile amministrativa o di difesa di un diritto in sede giudiziaria.