I vecchi contratti "acausali" sono prorogabili
Con la Circolare n. 35/2013, il Dipartimento Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro fornisce una serie di chiarimenti in merito alle novità apportate dal D.L. n. 76/2013, c.d. “ Decreto Lavoro”, convertito in L. n. 99/2013.
In riferimento al contratto a tempo determinato il D.L. n. 76/2013 introduce alcune modifiche volte principalmente alla razionalizzazione dell’istituto.
Contratto a termine “acausale”
Il Decreto interviene sulla disciplina del contratto a termine “acausale” stabilendo che le ragioni di carattere “tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” non sono richieste:
- nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi comprensiva di eventuale proroga, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi dell’art. 20, comma 4, del D.Lgs. n. 276/2003;
- in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
A differenza della precedente disciplina va pertanto evidenziato che la durata massima di dodici mesi del contratto “acausale” è comprensiva di eventuale proroga: i contratti collettivi potranno, pertanto, prevedere, a titolo esemplificativo, che il contratto a termine acausale possa avere una durata maggiore di 12 mesi ovvero che lo stesso possa essere sottoscritto anche da soggetti che abbiano precedentemente avuto un rapporto di lavoro subordinato.
Il Dipartimento ministeriale precisa, inoltre, che la proroga del contratto acausale può riguardare anche i contratti sottoscritti prima del 28 giugno 2013 (data di entrata in vigore del Decreto lavoro).
“Periodi cuscinetto” e obbligo di comunicazione al Centro per l’impiego
Un contratto “acausale” potrà avere una durata massima di dodici mesi e cinquanta giorni, superati i quali lo stesso si trasformerà in un “normale” contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Occorre ricordare che l’applicazione dei “periodi cuscinetto” anche in relazione ai contratti “acausali” comporta l’applicazione della disposizione relativa alle maggiorazioni retributive dovute al lavoratore “per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo” e “al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore”.
Il D.L. n. 76/2013 abroga anche il comma 2 bis, art. 5, del D.Lgs. n. 368/2001 che aveva introdotto un obbligo di comunicazione al Centro per l’impiego – obbligo comunque sprovvisto di presidio sanzionatorio – nell’ipotesi di continuazione “di fatto” del rapporto a tempo determinato oltre il termine inizialmente stabilito.
Intervalli tra due contratti a termine
Gli intervalli tra due contratti a tempo determinato sono ripristinati a dieci o venti giorni, a seconda che il primo contratto abbia una durata fino a sei mesi ovvero superiore a sei mesi. Per tutti i contratti a termine stipulati a partire dal 28 giugno 2013 (data di entrata in vigore del D.L. n. 76/2013) è pertanto sufficiente rispettare un intervallo di 10 o 20 giorni, anche se il precedente rapporto a tempo determinato è sorto prima di tale data. Le disposizioni che richiedono il rispetto degli intervalli tra due contratti a termine, nonché quelle sul divieto di effettuare due assunzioni successive senza soluzioni di continuità, non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali e in relazione alle ipotesi, legate anche ad attività non stagionali, individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Lavoratori in mobilità e contingentamento dei contratti
In relazione alle assunzioni a termine di lavoratori in mobilità non è necessario il rispetto della disciplina concernentel’indicazione delle ragioni di carattere “tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” o il rispetto degli intervalli.
Il Legislatore fa salvo il rispetto della disciplina relativa al “principio di non discriminazione” e ai “criteri di computo”. In quest'ultimo caso i lavoratori in mobilità interessati – computabili secondo “il numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro” sono esclusivamente quelli assunti a partire dall’entrata in vigore della legge di conversione e quindi a far data dal 23 agosto.