Fisco

Lista valorizzata e non fattura "pro forma" per l'esportazione doganale a scopo di lavorazione


Riguardo all’esportazione di beni in un Paese terzo, senza il passaggio della proprietà, per essere lavorati e reimportati sotto forma di “prodotti compensatori”, la presunzione di cessione può essere superata con una “lista valorizzata” o con un documento di trasporto, mentre, che devono essere invalidati con la dicitura “non valida ai fini dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972”.

E' quanto chiarisce l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 855 del 22 dicembre 2021, in merito agli oneri documentali richiesti per superare la presunzione di cessione dei beni oggetto di esportazione definitiva senza trasferimento del diritto di proprietà e alle modalità di assolvimento dell’IVA relativa alla lavorazione e all’importazione dei beni risultanti dalla lavorazione resa in territorio extra-UE.

L’Amministrazione finanziaria, sulla scorta della posizione espressa dall’Agenzia delle Dogane, ha ammesso la possibilità che le operazioni di esportazione per la lavorazione e reimportazione dei prodotti compensatori avvengano alla stregua di un’esportazione doganale definitiva, senza peraltro che le medesime possano considerarsi, ai fini IVA, cessioni all’esportazione ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972 (C.M. n. 156/E/1999 e nota n. 1248/D/1997).

Al fine di superare la presunzione di cessione, i documenti di prassi sopra richiamati hanno precisato che la presunzione non può considerarsi superata con l’emissione di una fattura “pro-forma”, potendo, tuttavia, essere utilizzato un documento contabile, consistente in un’apposita “lista valorizzata su carta intestata” da registrare in uno specifico registro tenuto e conservato ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972. In alternativa, può essere utilizzato il documento di trasporto o di consegna, senza necessità di annotarlo nel predetto registro.

Inoltre, nell’ipotesi di esportazione di beni senza il trasferimento della proprietà è necessario assicurarsi che, ai fini IVA, l’operazione descritta non appaia come una cessione all’esportazione, ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972, cosicché la documentazione presentata dall’esportatore a corredo della bolletta di esportazione definitiva emessa – vale a dire la lista valorizzata e il documento di trasporto – deve essere “invalidata” con la dicitura “non valida ai fini dell’art. 8 del D.P.R. n. 633 del 1972”.

Come osservato dall’Agenzia delle Entrate, la valenza solo doganale e non fiscale dell’esportazione senza trasferimento del diritto di proprietà implica che, all’atto dell’importazione dei prodotti compensatori, la relativa operazione doganale si configuri come “immissione in libera pratica” dei beni medesimi, vale a dire una importazione, il cui valore imponibile, ai fini IVA, va commisurato al valore doganale dei beni importati, comprensivo, quindi, anche del compenso pattuito per la lavorazione.

Dato, tuttavia, che il servizio di lavorazione reso dal prestatore extra-UE è imponibile in Italia in applicazione della regola territoriale generale di cui all’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972, l’Agenzia ha confermato che, al fine di evitare effetti distorsivi, ove il committente, anteriormente alla reimportazione, abbia già applicato l’IVA sulla lavorazione mediante il meccanismo del reverse charge, al momento della reimportazione potrà documentalmente dimostrare l’avvenuto adempimento e, in tal caso, dall’imposta calcolata in dogana dovrà essere sottratta l’imposta già assolta per effetto dell’autofatturazione della prestazione di lavorazione. Diversamente, nel caso in cui l’avvenuto assolvimento dell’IVA non possa essere dimostrato, dovrà essere applicata la procedura che prevede la liquidazione e l’assolvimento dell’IVA in dogana all’atto della reimportazione.

Ciò posto, non viene ritenuta condivisibile la soluzione proposta dalla società istante, in base alla quale nei casi in cui l’arrivo in dogana dei “prodotti compensatori” sia successivo a quello in cui andrebbe emessa l’autofattura per il relativo servizio di lavorazione, sarebbe consentito “ritardare” l’emissione dell’autofattura e attendere l’arrivo in dogana dei prodotti compensatori al fine di assolvere al pagamento dell’imposta mediante la procedura doganale.

Nella normativa di riferimento non è, infatti, prevista alcuna deroga nel senso sopra auspicato dall’istante alla procedura descritta in caso di prestazione di servizi resa da soggetto extra-UE territorialmente rilevante in Italia. Pertanto, l’autofattura deve essere regolarmente emessa dalla società istante nel rispetto delle modalità e dei termini di cui agli artt. 17 e 21 del D.P.R. n. 633/1972, ovvero entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione.

Gli eventuali “disallineamenti” tra la base imponibile del servizio di lavorazione indicata nell’autofattura e la base imponibile del medesimo servizio calcolata in dogana, al momento della reimportazione dei prodotti compensatori, dovranno essere regolarizzati mediante l’emissione di note di variazione ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972.