Recupero dell'iva assolta a seguito di nota di variazione in diminuzione errata
Con la risposta a interpello 22 dicembre 2021, n. 858, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in tema di recupero dell'IVA assolta a seguito di una nota di variazione in diminuzione errata.
La fattispecie
L'istante (holding industriale mista con funzioni commerciali), nel corso del 2014 ha stipulato un contratto quadro di acquisto di materie necessarie alle esigenze produttive delle proprie controllate con il fornitore il quale ha, quindi, emesso tre fatture di acconto, la cui IVA è stata detratta dall'istante nel periodo di imposta 2014.
Risolto successivamente il contratto, il fornitore, per dar corso a quanto pattuito, emette tre note di credito di cui la prima nel 2015 e le altre due nel 2017 a storno delle tre fatture di acconto del 2014.
Con la nota di credito del 2015, ai sensi dell'art. 26, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, rettifica interamente la corrispondente fattura di acconto accreditandosi la relativa IVA. L’istante, dal canto suo, provvede a registrare la nota di credito e a far concorrere l'imposta a suo debito evidenziata nel detto documento, dapprima nella liquidazione periodica e poi nella dichiarazione IVA periodo d’imposta 2015.
In seguito l'Agenzia delle Entrate recupera l'IVA detratta dal fornitore in quanto la nota di credito risultava emessa oltre dodici mesi dalla data della fattura oggetto di rettifica, in supposta violazione dell'art. 26, commi 2 e 3, D.P.R. n. 633/1972.
Ciò posto, l'istante pone all’Agenzia Entrate i seguenti quesiti:
Quesito 1: se, nel rispetto del principio di neutralità dell'IVA, l'istante possa applicare l'art. 30-ter, comma 2, previa restituzione dell'imposta non dovuta al cedente, già versata a suo tempo a fronte della registrazione della nota di credito da questi emessa;
Quesito 2: se l'istante possa applicare l'art. 60, comma 7, e quindi, recuperare la medesima imposta restituita al cedente con il meccanismo della detrazione;
Quesito 3: se l'istante possa applicare l'art. 30-ter, comma 1, e quindi, recuperare l'imposta, nel frattempo restituita al cedente, presentando istanza di restituzione entro il termine biennale decorrente dalla data del rimborso al cedente.
La normativa
Si premette che l'art 8 della legge Europea 2017 (legge n. 167/2017), ha introdotto l'art. 30-ter del D.P.R. n. 633/1972, che definisce il sistema di recupero dell'IVA indebitamente versata.
In particolare, il comma 1 consente al soggetto passivo di presentare domanda di restituzione dell'imposta non dovuta, a pena di decadenza, nel termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
Per il comma 2, nel caso in cui sia intervenuto accertamento definitivo dell'Amministrazione finanziaria, che abbia individuato un debito di imposta inferiore rispetto a quella versata, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall'avvenuta restituzione al cessionario o committente dell'importo pagato a titolo di rivalsa.
Esito dell’interpello
Nella risposta all’interpello, con riguardo al Quesito 3, l’Agenzia Entrate esprime l'avviso che le disposizioni di cui al comma 2 dell'art. 30-ter del decreto IVA, possano applicarsi specularmente anche al caso di specie, in cui è il cessionario o committente a dover chiedere all'erario il rimborso dell'IVA a debito erroneamente versata, una volta restituita al cedente/prestatore l'imposta accertata in via definitiva dall'Amministrazione finanziaria che quest'ultimo gli aveva corrisposto per effetto della nota di variazione.
La finalità della norma, attesa l'esigenza di neutralità IVA, impone infatti di riconoscere analoga tutela restitutoria in favore del cessionario o committente, lì dove, invece, l'accertamento abbia origine dal disconoscimento in capo al cedente o prestatore della detrazione dell'IVA restituita con nota di variazione erroneamente emessa.
In detta circostanza, i due anni entro i quali il cessionario/committente può presentare la richiesta di rimborso dell'IVA non dovuta decorrono dal momento in cui avviene la restituzione al cedente/prestatore della medesima somma da lui versata per effetto di accertamento definitivo volto a disconoscere la detrazione dell'IVA restituita con la nota di variazione errata.
In merito invece, alla possibilità di ricorrere, in via subordinata, all'art. 60, u.c., D.P.R. n. 633/1972 (Quesito 2), l’Agenzia osserva che anche detto comma – versione attuale -, è volto a ripristinare la neutralità dell'IVA in caso di accertamento o rettifica dell'imposta.
Tale norma consente al contribuente, che ha subito un accertamento IVA, di riaddebitare a titolo di rivalsa al cessionario/committente la maggiore imposta accertata e versata.
In sostanza, la norma mira a ripristinare, anche nelle ipotesi di accertamento, la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa e dal diritto di detrazione consentendo il normale funzionamento dell'IVA, la quale deve, per sua natura, colpire non gli operatori economici ma i consumatori finali.
Ciò premesso, in linea generale, per la garanzia della neutralità dell'IVA, l’Agenzia non ravvisa impedimenti all'applicazione dell'art. 60, u.c., D.P.R. n. 633/1972, anche all'ipotesi in cui in capo al cedente sia stata accertata una indebita detrazione dell'IVA relativa ad una nota di variazione emessa tardivamente, in violazione dell'art. 26, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633/1972. Anche in tale ipotesi, infatti, si configura in capo al cedente un recupero dell'imposta da parte dell'Amministrazione (recte, dell'IVA a credito erroneamente restituita mediante nota di variazione), cui consegue il diritto del cedente di rivalersi in capo al cessionario che, a sua volta, potrà esercitare la detrazione dell'imposta restituita al cedente alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione.
Nel caso dell’interpello in oggetto occorre, tuttavia, verificare se sussistono per l'istante le condizioni che consentono la detrazione ex art. 19 decreto IVA avuto riguardo all'operazione originaria.
Per l’Agenzia, la detraibilità da parte dell'istante dell'imposta recata dalle fatture che documentano l'operazione originaria è “quantomeno dubbia”, in virtù della pendenza di un contenzioso tributario avverso l'atto impositivo emesso a seguito di verifica fiscale, con cui si contesta all’istante la detrazione dell'IVA sulle tre fatture di acconto.
Ne consegue pertanto che l'istante, riversata l'IVA al fornitore, nelle more dell'esito finale del contenzioso, non potrebbe comunque detrarre l'imposta alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione, come stabilisce l’art. 60, u.c., del decreto IVA, essendo il diritto stesso a detrarre ancora da definire.