Rimborso IVA in capo al soggetto estero in caso di errata applicazione del reverse charge
Al fine di garantire la neutralità dell’imposta, l’erronea applicazione dell’IVA mediate il sistema del reverse charge, anziché in base al regime ordinario, non esclude il diritto di rimborso dell’imposta assolta in Italia mediante la procedura di cui all’art. 38-bis2 del D.P.R. n. 633/1972, restando in ogni caso fermo, per il cessionario, il diritto alla detrazione dell’imposta erroneamente assolta con l’inversione contabile.
È quanto ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 393 del 7 giugno 2021, relativa al caso di una società non residente che ha acquistato beni dalla sua controllata italiana per poi rivenderli ad un operatore non residente, identificato direttamente ai fini IVA in Italia ai sensi dell’art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972.
I beni vengono consegnati dalla controllata direttamente al cessionario in un magazzino localizzato in Italia, sicché la cessione effettuata dalla controllata alla società cedente è un’operazione territorialmente rilevante in Italia ai sensi dell’art. 7-bis del D.P.R. n. 633/1972 e, di conseguenza, la controllata emette fattura con addebito dell’IVA.
La successiva cessione effettuata al cessionario è anch’essa un’operazione territorialmente rilevante ai fini IVA in Italia, in quanto, anche in tal caso, i beni sono ceduti in Italia. La società cedente, invece, anziché ivi identificarsi al fine di assolvere l’imposta, ha erroneamente emesso fattura senza addebitare l’IVA che, conseguentemente, è stata assolta dal cessionario mediante il meccanismo del reverse charge.
Ad avviso della società cedente, l’errata individuazione del debitore d’imposta non ha comportato alcun danno all’Erario, in quanto l’IVA è stata corrisposta dal cessionario mediante il sistema dell’inversione contabile e, per l’effetto, si è generato in capo alla cedente un rilevante credito IVA che è stato inutilmente chiesto a rimborso mediante la procedura di cui all’art. 38-bis2 del D.P.R. n. 633/1972.
Tenuto conto che la cedente si è tardivamente identificata in Italia, all’Agenzia delle Entrate è stato chiesto quale sia la modalità per regolarizzare l’attività pregressa e per recuperare il credito IVA maturato.
Fermo restando che la società cedente, per assolvere l’obbligo di versamento dell’IVA - in assenza di una sede o di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato - avrebbe dovuto identificarsi ai fini IVA in Italia oppure ivi nominare un rappresentante fiscale per addebitare l’imposta in fattura secondo le regole ordinarie, l’Agenzia ha chiarito che, per sanare l’errore, laddove l’imposta sia stata assolta, seppure irregolarmente dal cessionario mediante il meccanismo dell’inversione contabile, il cedente deve definire esclusivamente la sanzione, non avendo l’obbligo di versare l’imposta; il cessionario, a sua volta, pur rispondendo solidalmente della sanzione applicabile alla violazione, conserva il diritto alla detrazione dell’imposta, come si desume dall’art. 6, comma 9-bis.2, del DLgs. n. 471/1997.
In merito alla corretta modalità di recupero del credito IVA sugli acquisti da parte dei soggetti non residenti, il citato art. 38-bis2 del D.P.R. n. 633/1972 esclude la possibilità di chiedere il rimborso con la speciale procedura ivi prevista se i richiedenti, come nella specie, hanno effettuato operazioni per i quali sono debitori d’imposta.
Tuttavia, posto che l’art. 6, comma 9-bis.2, del DLgs. n. 471/1997, in caso di errore nell’applicazione del reverse charge, fa salvo il comportamento del cedente che non ha applicato l’imposta, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la società cedente può considerarsi al pari di un soggetto che non ha effettuato operazioni per le quali è debitore dell’imposta e che, quindi, nonostante l’errore, conserva il diritto di ottenere il rimborso secondo la procedura di cui all’art. 38-bis2 del D.P.R. n. 633/1972.