Lavoro

Legittimità del licenziamento per riduzione della clientela


Il caso in sintesi

A seguito della perdita di un importante cliente e della conseguente consistente riduzione dei carichi di lavoro, uno studio professionale procedeva con il licenziamento "per giustificato motivo oggettivo" di una segretaria.
Il licenziamento era dichiarato illegittimo dalla Corte di Appello, che aveva rilevato la genericità delle deduzioni del datore di lavoro in merito alla individuazione dei motivi oggettivi del recesso con la conseguente inefficacia del medesimo, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2, commi 2 e 3, legge 604/1966 (in relazione ovviamente al dettato pro-tempore vigente della disposizione).

La decisione della Suprema Corte

Innanzitutto, la Suprema Corte chiarisce la ratio delle disposizioni in materia di "motivazioni del licenziamento", sopra richiamate.

Nello specifico, Essa sostiene infatti che l'onere della motivazione del licenziamento è funzionale alla tutela del principio di immodificabilità della contestazione dei motivi del recesso: tale onere preclude pertanto al datore di lavoro la possibilità di introdurre in giudizio fatti nuovi o elementi diversi, se non strettamente correlati a quelli già esposti.
Ciò non implica tuttavia che la motivazione debba necessariamente essere specificata in tutti i suoi elementi di fatto e di diritto all'atto del licenziamento: è sufficiente, in tal senso, che sia indicata la "fattispecie del recesso" nei suoi tratti e circostanze di fatto essenziali, in modo tale che in sede di giudizio non possa essere invocata una fattispecie totalmente diversa, ma solo - eventualmente - precisare quella dedotta esplicitando elementi di fatto non puntualmente indicati nella motivazione.

Dalle considerazioni sopra esposte deriva che il licenziamento è inefficace solo nel caso in cui, a fronte della richiesta del lavoratore licenziato, il datore di lavoro ometta di comunicargli tempestivamente (nei sette giorni successivi alla richiesta) i motivi del recesso, ovvero vi provveda in maniera non idonea, violando in tal modo la prescrizione dell'art. 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

Per completezza, ci pare opportuno ricordare che la disposizione richiamata è stata recentemente modificata dalla legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro: nella versione attualmente in vigore, l'art. 2, Legge 604/1966, stabilisce che i motivi del recesso devono essere contenuti nella comunicazione di licenziamento, a pena di inefficacia del medesimo.

La Suprema Corte ha quindi chiarito che grava sul datore di lavoro, nei casi di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, la prova della funzionalità della scelta a fronteggiare esigenze obiettive e non contingenti, rispetto alle quali sia preclusa ogni diversa collocazione del lavoratore (c.d. obbligo di "repechage").

Viene quindi ribadito un principio già più volte affermato dalla Corte di Cassazione: "il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, ex art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604, è determinato non da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti; il lavoratore ha, quindi, il diritto che il datore di lavoro (su cui incombe il relativo onere) dimostri (in giudizio) la concreta riferibilità del licenziamento individuale ad iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo, e non ad un mero incremento di profitti, e che dimostri, inoltre, l’impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale".