L'associato deve partecipare alla gestione societaria e condividere il rischio d'impresa
La disciplina dell’associazione in partecipazione stabilisce all' art. 2549 c.c. : «Con il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto» e, nei successivi articoli del codice civile, prescrive il diritto dell'associato al rendiconto dell’affare compiuto o a quello annuale della gestione, così da permettergli di esercitare un potere di controllo sulla gestione dell’associante, nonché la partecipazione alle perdite ed agli utili.
Il rapporto di associazione in partecipazione è pertanto caratterizzato dalla condivisione del rischio di impresa da parte dell'associato. Qualora venga resa una prestazione lavorativa che manchi di tale elemento essenziale e qualora difetti qualsiasi tipo di ingerenza nella gestione dell'impresa stessa, si rientrerà quindi nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 12564 del 22 maggio 2013, ha confermato la natura subordinata di un rapporto di lavoro, sebbene qualificato in sede contrattuale come associazione in partecipazione, essendo stato accertato che l’apporto dell’associato all’impresa era consististo esclusivamente in prestazioni lavorative.
Nella distinzione tra contratto di associazione in partecipazione e contratto di lavoro subordinato, pur rilevando la previsione contrattuale dalle parti, occorre infatti accertare se in concreto la prestazione lavorativa si sia svolta o meno con lo schema della subordinazione: nel caso di specie era mancato il controllo da parte degli associati sugli utili, che erano rimasti estranei alla gestione dell’azienda, e non era mai stato presentato un rendiconto finale.
Inoltre, per la verifica dell'autenticità del rapporto di associazione, la Suprema Corte ha considerato rilevante il fatto che la prestazione fosse stata resa con modalità sostanzialmente identiche sia nel periodo in cui il rapporto era formalmente configurato di natura subordinata sia nel periodo successivo in cui era stato stipulato un contratto di associazione con la ex dipendente.
La Corte di Cassazione ha ancora ribadito che l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, mentre altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario determinato, l’assenza in capo al lavoratore di una benché minima struttura imprenditoriala, assumono natura complementare e sussidiaria nella valutazione complessiva e concreta del contenuto effettivo del rapporto.