Diritto

Il contratto può qualificarsi come affiliazione commerciale, anche se non chiarisce specificamente quale know how viene trasferito


La Cassazione, con l’ordinanza n. 11256 del 10 maggio 2018, è intervenuta in un caso di presunta nullità di una clausola di trasferimento di know how, apposta ad un contratto di affitto d’azienda, riqualificato dai giudici d’appello in franchising puro, sciogliendo un dubbio interpretativo in relazione a tale negozio giuridico. I giudici di legittimità, infatti, hanno risposto alla questione se il contratto di franchising possa esistere anche senza il contenuto specifico sul know how, da considerarsi quale elemento accessorio, o se diversamente, l’assenza della specificazione del know how nelle disposizioni contrattuali comporta la nullità della relativa clausola.
Sul punto, è utile premettere che la legge sull’affiliazione commerciale, la n. 129/2004, segnatamente le disposizioni di cui agli artt. 1, comma 3, lett. a), e 3, comma 4, lett. d), prescrive rispettivamente che “il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai requisiti di segretezza e sostanzialità” e che il contratto deve espressamente indicare “la specifica del know how fornito dall’affiliante all'affiliato”, tenendo conto che esso deve essere caratterizzato da segretezza, sostanzialità e determinazione.

La decisione della Cassazione

La decisione della Cassazione ha preso le mosse dalla definizione normativa contenuta dall’art. 1, comma 3, lett. a) della legge sul franchising, secondo cui si intende “per know-how, un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato”.
Ciò posto, i giudici hanno, in primo luogo, affermato che il requisito del know-how, ai fini della stipula del contratto di franchising, non costituisce elemento essenziale, posto che l’art. 1, comma 1, della citata legge espressamente stabilisce che “L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l'affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”.
Riferendosi ai suddetti articoli, quindi, la Cassazione ha rilevato che il contratto di affiliazione commerciale non deve riguardare cumulativamente tutti gli aspetti regolati dalla norma, essendo fondamentale, a tal proposito, solo la concessione all’affiliato della disponibilità di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale - ossia, la collaudata formula commerciale, che può riguardare uno o più profili elencati dalla norma stessa – allo scopo di inserire il nuovo affiliato nella rete territoriale dell’affiliante e di altri già esistenti affiliati, con il fine ultimo di commercializzare determinati beni o servizi. Al verificarsi di tali circostanze, può sussistere anche un contratto di franchising in cui la clausola di trasmissione del know how sia assente.

Tesi contraria, sostenuta dalla dottrina maggioritaria, ritiene che il know-how sia un elemento imprescindibile del contratto di affiliazione commerciale. Tale interpretazione, a detta dei giudici di legittimità, non tiene tuttavia conto del chiaro disposto del citato art. 1, comma 1, che non prevede il know how come elemento indefettibile; né, tantomeno, essa può ricavarsi dall’art. 3, comma 4, lett. d), della stessa legge n. 129/2004, in base al quale, è vero che il contratto deve espressamente indicare “la specifica del know how fornito dall’affiliante all'affiliato”, tuttavia, ciò non implica necessariamente che la specifica sia un elemento essenziale, essa semplicemente è tesa a disciplinare il contenuto della relativa clausola, se prevista in contratto.

Peraltro, nonostante la legge n. 129/2004, stabilisca che il know how debba avere le caratteristiche di segretezza, sostanzialità e individuabilità, la medesima legge non prescrive debba trattarsi di un patrimonio di conoscenze inaccessibile, in quanto esso deve solo essere “non generalmente noto né facilmente accessibile”, rilevando peraltro la concreta combinazione di tali conoscenze come sperimentate dal franchisor nella sua rete, a prescindere dalla loro analitica conoscibilità.

Il know how, analogamente, deve ricomprendere le “conoscenze indispensabili all'affiliato per l’uso, per la vendita o la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali”, nel senso che deve costituire un vantaggio economico reale per l’affiliato, a lui utile nell’esercizio della propria attività in quella caratteristica rete di franchising; infine, esso deve essere individuato, cioè “descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità”, requisito che, come ritenuto in dottrina, risponde agli interessi di entrambe le parti.

In considerazione del fatto che l’istituto del franchising è applicabile in ogni settore, le indicazioni normative che dettano la specificità, non possono che essere interpretate in maniera elastica tale da adattarsi alla (maggiore o minore) complessità strutturale della rete commerciale dell'affiliante e, quindi, all'attività imprenditoriale esercitata in concreto dall'affiliato e ricavata dal contratto. Ragion per cui, quanto meno complesse si presentino tali attività imprenditoriali (come nel caso che ha avviato la questione, in cui l'affiliazione riguardava la gestione di un semplice bar-caffetteria, con caratteristiche di riconoscibilità limitate ad uno specifico e ristretto ambito territoriale), tanto meno dettagliata potrà essere la descrizione del know how contenuta nel testo contrattuale, fermo restando che essa non può comunque deprezzarsi verso formule esageratamente sommarie e dubbie, stante la previsione normativa di cui all'art. 1, comma 3, lett. a), I.cit.

La Corte di Cassazione, nel caso di specie, ha respinto dunque il ricorso promosso contro la decisione della Corte d’appello del Veneto, confermando le motivazioni dei giudici di secondo grado che avevano ritenuto valida la clausola di trasferimento del know how contenuta in un contratto di affitto d’azienda, riqualificando il contratto come franchising puro, sebbene nello stesso il know how non fosse stato sufficientemente specificato, sulla considerazione del fatto che la clausola in questione fosse comunque adeguata a rispettare la specificità richiesta dalla legge sul franchising, prevedendo la stessa il diritto di utilizzare i marchi dell’azienda, di fruire del relativo know how, dell’assistenza tecnica, della formazione e dell’aggiornamento degli addetti al punto vendita e delle promozioni pubblicitarie, che rappresentavano un patrimonio di conoscenze pratiche indispensabili per l’uso, la vendita e la gestione dei servizi contrattuali - quindi, il know how - posto a disposizione degli affiliati dalla società dietro il pagamento di un corrispettivo specificamente individuato nel contratto.