Diritto

Qualifica del leasing finanziario come cessione di bene ai fini IVA


È il principio espresso dalla Corte di giustizia nella causa C-164/16 del 5 ottobre 2017, in merito alla questione della classificazione, ai fini IVA, del leasing finanziario nella categoria delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi.

La norma oggetto di interpretazione da parte dei giudici dell’Unione è l’art. 14, par. 2, lett. b), della Direttiva n. 2006/112/CE, in base al quale si considera cessione di beni “la consegna materiale di un bene in base ad un contratto che prevede la locazione di un bene per un dato periodo o la vendita a rate di un bene, accompagnate dalla clausola secondo la quale la proprietà è normalmente acquisita al più tardi all’atto del pagamento dell’ultima rata”.

La qualifica dell’operazione nell’ambito dell’una piuttosto che dell’altra categoria si riflette sul piano temporale. Se il leasing finanziario dà luogo ad una prestazione di servizi, l’IVA è dovuta in relazione al pagamento di ciascun canone, mentre la diversa classificazione dell’operazione come cessione di beni implica che l’imposta si rende dovuta al momento della consegna del bene oggetto del contratto, per l’intero importo (canoni più prezzo di riscatto).

In esito alle considerazioni svolte, la Corte ha affermato che il leasing finanziario rientra nella categoria delle cessioni di beni se, dai termini del contratto, risulta fin dal momento della firma dello stesso, che la proprietà del bene è destinata a essere acquisita automaticamente dal locatario “qualora l’esecuzione del contratto segua il suo corso normale fino al suo termine”.

A tal fine, non è sufficiente che il contratto comprenda una clausola esplicita di trasferimento della proprietà, sotto forma di opzione d’acquisto del bene oggetto di leasing, occorrendo anche che l’esercizio dell’opzione, per quanto facoltativa dal punto di vista formale, rappresenti in realtà, “alla luce delle condizioni finanziarie del contratto, come la sola scelta economicamente razionale che il locataria possa fare”. Tale può essere il caso, esemplifica la Corte, “in cui risulti dal contratto che, quando risulterà possibile esercitare l’opzione, la somma delle rate contrattuali corrisponderà al valore commerciale del bene, ivi incluso il costo del finanziamento, e che l’esercizio dell’opzione non imporrà all’utilizzatore di corrispondere una somma supplementare importante”.