Fisco

Accertamento induttivo valido se risultano irregolarità sugli scontrini fiscali


La Corte di Cassazione con ordinanza n.20632 del 30 agosto scorso ha rigettato il ricorso di un contribuente avverso la decisione della CTR campana che aveva respinto a sua volta l’appello dello stesso ricorrente contro la decisione della commissione provinciale, la quale aveva ritenuto validi gli avvisi di accertamento IRPEF e IVA emessi dalle Entrate a suo carico e basati su un accertamento di tipo induttivo.

Nella sostanza, il contribuente, nel suo ricorso in sede di legittimità, si doleva che la CTR avesse confermato la percentuale di ricarico utilizzata per la determinazione delle entità riprese a tassazione negli avvisi di accertamento delle Entrate che si basavano su uno scostamento pluriennale dagli studi di settore ed erano fondati solo su prove indiziarie, ovvero su presunte irregolarità in relazione all’emissione di scontrini fiscali, da cui però, in verità, emergeva una certa inattendibilità delle scritture contabili e quindi una bassa redditività a fronte di possidenze patrimoniali del contribuente non diversamente giustificate; pertanto, a detta del ricorrente, la decisione dei giudici d’appello era stata assunta in violazione degli artt. 38, 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 600/1973, 62 sexies, d.l. 331/1993 e gli artt. 2697, 2729 del codice civile.

La Cassazione, tuttavia, in tale occasione ha precisato, ciò che peraltro ha più volte ribadito, ovvero che “In materia di IVA, l'Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l'antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest'ultimo l'onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni” (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638203 - 01).

Le prove indiziarie quindi, se costruite su 1) anomalie relative all’emissione di scontrini fiscali, 2) reiterati scostamenti dagli studi di settore, 3) analisi dell'inattendibilità delle scritturazioni contabili; 4) anormale costante bassa redditività dell'impresa e quindi sua evidente antieconomicità, a fronte di possidenze patrimoniali del contribuente non altrimenti giustificate, costituiscono sì presunzioni semplici, ma gravi, precise e concordanti e quindi possono ritenersi prove valide su cui basare un accertamento induttivo, in aderenza ad un recente principio di diritto emanato dalla stessa Cassazione secondo cui “In tema di accertamento analitico induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all'esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l'onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l'applicazione di percentuali diverse” (Sez. 5 - , Sentenza n. 27330 del 29/12/2016, Rv. 642387 - 01).