Lavoro

Nella cessione di ramo d’azienda il trasferimento del lavoratore avviene anche senza il suo consenso


In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione in un caso in cui un lavoratore dipendente aveva manifestato il suo dissenso ad essere trasferito nella nuova impresa cessionaria non presentandosi sul nuovo posto di lavoro, la cessionaria pertanto aveva inviato a questi una lettera di licenziamento, ritenendo espresso per facta concludentia il dissenso del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro nella nuova impresa.
I giudici di merito avevano rigettato il ricorso del lavoratore che aveva impugnato per illegittimità la lettera raccomandata con cui la nuova impresa, preso atto del disinteresse alla prosecuzione del rapporto da parte del lavoratore, poneva nel nulla la contestazione disciplinare comunicatagli per la sua assenza, in ragione del fatto che nessun rapporto di lavoro era mai stato instaurato tra le parti. Nella sostanza, per i giudici di merito, il comportamento assunto dal dipendente nella vicenda integrava un rifiuto a concludere un contratto di lavoro con l'impresa cessionaria; tale opposizione al passaggio diretto alle dipendenze dell’impresa cessionaria era da considerarsi coerente con i dettami di cui all'art.2112 c.c. nella interpretazione resa dalla Corte di Giustizia Europea in sue numerose conclusioni.

A fronte di tale decisione, il lavoratore ricorre in Cassazione, la quale accoglie il ricorso (Sentenza n. 12919/2017), chiarendo che a fronte di un trasferimento d'azienda o di un suo ramo, l'ordinamento predispone un sistema di garanzia per i lavoratori, di continuità dell'occupazione, nel senso che il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano (art.2112 c.c.). Ne consegue, coerentemente, da un lato, che la vicenda traslativa dell'impresa non può costituire motivo di licenziamento né per il cedente né per il cessionario; dall'altro, che non è richiesto il consenso “dei lavoratori coinvolti, dato l'effetto di trasferimento automatico ex lege connesso alla configurazione del trasferimento d'azienda. In tale contesto normativo, la cessione di azienda è stata configurata, con riferimento alla posizione del lavoratore, quale successione legale nel contratto che, non richiedendo il consenso del contraente ceduto, non è assimilabile alla cessione negoziale per la quale tale consenso opera da elemento costitutivo della fattispecie di cui all'art.1406 cod. civ.” (vedi Cass. 22/7/2002 n.10701; Cass. 9/10/2009 n. 21481; Cass. 7/3/2013 n. 5678). In tal senso, si è espressa del resto anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia, laddove ha affermato (vedi sentenza 24/1/2002 C/51/00) che l'art.3, n.1, della direttiva n. 77/187 sancisce il principio del trasferimento automatico al cessionario dei diritti e degli obblighi che risultano per il cedente dai contratti di lavoro esistenti alla data del trasferimento dell'impresa. La regola che risulta da queste disposizioni, secondo cui il trasferimento avviene senza il consenso delle parti in causa, è imperativa; non è consentito derogarvi in senso sfavorevole ai lavoratori.

E’ ammesso ad ogni modo per il lavoratore, il rifiuto al trasferimento che deve essere manifestato mediante recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti (art. 2112 c.c. quarto comma). Dunque, né il diritto comunitario né l'attuale normativa interna riconoscono in capo al lavoratore un diritto di opposizione ex ante al trasferimento, rimanendo irrilevante il suo consenso al trasferimento dell'azienda o del ramo d'azienda presso cui presta la propria attività lavorativa, che si configura astrattamente in termini di automaticità, non escludendosi però che il dipendente possa in ogni caso, dopo il trasferimento automatico del suo rapporto lavorativo, preferire di recedere dal rapporto già costituitosi in maniera espressa e con una inequivocabile condotta.