Fisco

Operazioni inesistenti assoggettate a reverse charge senza IVA


La circolare dell’Agenzia delle Entrate n.16 dell’11 maggio 2017, nell’illustrare le modifiche al sistema sanzionatorio applicabile alle operazioni soggette a reverse charge, ha chiarito che l’IVA non si rende dovuta in presenza di operazioni inesistenti, negando pertanto l’interpretazione della nuova norma offerta dalla Corte di Cassazione, che ha limitato il più favorevole trattamento sanzionatorio alle sole operazioni inesistenti ricollegabili ad operazioni esenti, non imponibili o non soggette ad imposta.

Affinché le sanzioni siano maggiormente coerenti rispetto alla violazione commessa, valutata in termini sia di danno arrecato all’Erario, sia di rilevabilità da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’illecito, il sistema sanzionatorio è stato ridefinito dal DLgs. n. 158/2015. Particolarmente importanti sono le modifiche alla disciplina sanzionatoria applicabile alle violazioni relative all’applicazione del meccanismo del reverse charge, operate attraverso la riformulazione del comma 9-bis dell’art. 6 del DLgs. n. 471/1997 e l’introduzione dei successivi commi 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3.

Al fine di superare alcune incertezze interpretative, il legislatore ha declinato puntualmente il concetto di “irregolare assolvimento” del tributo, distinguendo tra l’ipotesi in cui l’operazione doveva essere assoggettata al meccanismo dell’inversione contabile, ma l’imposta è stata assolta in via ordinaria (comma 9-bis.1) e l’ipotesi in cui l’operazione doveva essere assoggettata ad IVA in via ordinaria ma l’imposta è stata assolta in reverse charge (comma 9-bis.2), prevedendo in tali casi la riduzione delle sanzioni. Il nuovo comma 9-bis.3 disciplina, invece, le ipotesi di errata applicazione del reverse charge ad operazioni esenti, non imponibili o non soggette ad imposta o inesistenti, disponendo la neutralizzazione degli effetti ai fini IVA con applicazione della sanzione compresa tra il 5% e il 10% dell’imponibile (con un minimo di 1.000 euro) solo nei casi di operazioni inesistenti.

A quest’ultimo riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha rilevato che la novità è correlata alla riformulazione dell’art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972, che prima della modifica prevedeva, nel caso di emissione di fattura per operazioni inesistenti, ovvero di indicazione in fattura di corrispettivi o di imposta in misura superiore a quella reale, che l’imposta fosse dovuta dal debitore per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura; tale regola si applicava senza distinguere tra operazioni contabilizzate secondo le regole ordinarie e quelle per le quali l’imposta era dovuta mediante il meccanismo dell’inversione contabile, mentre la norma riscritta ne circoscrive la portata al solo regime ordinario.
Il chiarimento reso dall’Agenzia, secondo cui, in sede di accertamento, deve essere espunto sia il debito che il credito computato in sede di liquidazione periodica dell’imposta anche per le operazioni inesistenti assoggettate a reverse charge assume notevole rilevanza in quanto supera il contrario orientamento espresso dalla Cassazione, che nella sentenza n. 16679/2016 ha escluso le operazioni inesistenti aventi carattere imponibile dal più favorevole trattamento sanzionatorio previsto dal comma 9-bis3.

È stato confermato, inoltre, che la norma in esame, definendo gli aspetti procedimentali collegati alla violazione e il relativo regime sanzionatorio, si applica, nel rispetto del principio del “favor rei”, anche alle violazioni commesse prima del 1° gennaio 2016, i cui atti di recupero non siano ancora divenuti definitivi.