Raddoppia l’indennità dovuta al lavoratore, se il licenziamento è in tronco
Rigettato dalla Corte di Cassazione il ricorso incidentale di un istituto bancario, il quale aveva impugnato la decisione dei giudici di merito per aver ritenuto che il ritardo nell’intimare un licenziamento disciplinare nei confronti di un dipendente della banca potesse trasformare in giustificato motivo soggettivo quella che ontologicamente era una giusta causa di recesso e per aver cumulato l’indennità risarcitoria di cui all’art.18, comma 6, legge n.300 del 1970 e l’indennità sostitutiva del preavviso.
I fatti
Essenzialmente, i giudici di primo grado avevano dichiarato illegittimo, perché tardivo, il licenziamento per giusta causa intimato in via disciplinare dall’istituto bancario nei confronti di un dipendente e, dichiarato risolto il rapporto, condannato la società a pagare al lavoratore l’indennità ex art.18, comma 6; i giudici d’appello, riformando parzialmente la decisione di prime cure, avevano poi riqualificato il licenziamento come licenziamento per giustificato motivo soggettivo e condannato la società a pagare l’ulteriore importo a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, confermando le altre deliberazioni dei giudici di primo grado.
La decisione della Corte
I giudici della Cassazione, pronunciandosi sul ricorso (Cass. n.10642 del 2 maggio 2017), hanno chiarito, in via preliminare, che i requisiti necessari affinché al dipendente licenziato spetti l’indennità sostitutiva del preavviso sono: i. recesso dal rapporto effettuato senza preavviso dal datore di lavoro e ii. assenza di giusta causa. Peraltro, per costante giurisprudenza (cfr. Cass. S.U. n. 4844/94 e successive pronunce conformi della Corte), il licenziamento disciplinare, intimato senza la previa osservanza delle garanzie procedimentali stabilite dall’art.7 legge n.300 del 1970 non è nullo, ma solo ingiustificato, nel senso che la condotta addebitata al dipendente, ma non ritualmente fatta valere nel rispetto della contestazione disciplinare di cui all’art.7 cit., non può, nonostante sia effettivamente fondata e coerente con la nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere esibita dal datore di lavoro per sottrarsi all’operatività della tutela (reale o meramente obbligatoria) apprestata dall’ordinamento nelle diverse situazioni o all’onere del preavviso ex art.2118 cod. civ. Quanto al cumulo di indennità ex art. 18, comma 6, cit. e di indennità sostitutiva del preavviso, dichiarano i giudici, esso spetta in ogni caso di tutela meramente indennitaria (e non reintegratoria) prevista a fronte d'un licenziamento illegittimo.
La tutela indennitaria di cui all’art.18, comma 6, cit. (applicata nel caso di specie) sostanzialmente non si distingue (se non per la mancanza dell’alternativa della riassunzione) da quella prevista dall’art.8 legge n.604 del 1966. Ad ogni buon conto, in virtù di consolidata giurisprudenza (cfr. Cass. n.23710/15; Cass. n. 22127/06; Cass. n.13732/06; Cass. n. 13380/06), al lavoratore spettano entrambe le indennità, ovvero l’indennità di mancato preavviso e l’indennità risarcitoria per licenziamento illegittimo ex art. 18, in tutti i casi in cui il licenziamento, ancorché ingiustificato, abbia comunque determinato l’estinzione del rapporto, e questo perchè la ratio delle due indennità è differente: l’una mira a ristorare il lavoratore del disagio derivante dalla necessità di reperire nuova occupazione; l’altra è una penale fissata dal legislatore a fronte dell’illegittimo recesso (v. Cass. n.13732/06, cit.).