Fisco

L’accertamento induttivo non può basarsi sull’applicazione automatica degli studi di settore


Con queste motivazioni la Corte di Cassazione nella sua pronuncia n. 5183 del 28 febbraio scorso, accoglie il ricorso della titolare di un laboratorio di fotografia avverso la decisione della CTR del Lazio che, basandosi su affermazioni meramente astratte, aveva confermato (seppur riducendo i maggiori ricavi accertati dal fisco), la validità dell’avviso di accertamento notificato alla fotografa dall’Agenzia delle Entrate, la quale, fondando i rilievi esclusivamente sugli studi di settore, aveva accertato maggiori ricavi per l’anno 2004 rispetto a quelli dichiarati dalla contribuente.

L’Amministrazione finanziaria, nell’ambito dell’accertamento, non aveva tenuto conto dell’attività svolta per lungo tempo in concorrenza sleale dai dipendenti della fotografa, che avevano sviato la sua clientela, tanto da renderla costretta a ridurre il personale, né lo aveva fatto la CTR nella sua pronuncia, limitandosi a dichiarare che l’Amministrazione finanziaria avrebbe potuto esaminare le dichiarazioni della contribuente in maniera più approfondita, ma decidendo comunque anch’essa senza considerare gli elementi oggettivi dedotti dalla difesa della fotografa.

La pronuncia della Cassazione

Tuttavia, ricorda la Cassazione, in tema di accertamento induttivo, occorre tenere presente che l’Amministrazione finanziaria, nel regime anteriore alle modifiche operate dall’art. 1, comma 23, della legge 296 del 2006 all'art. 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, conv. con mod. nella legge n. 427 del 1993 (e, dunque, prima del 1 gennaio 2007), non è legittimata a procedere all’accertamento induttivo, al di fuori delle ipotesi tipiche previste dagli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, allorché si verifichi un mero scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore, ma solo quando venga ravvisata una "grave incongruenza" (Cass. n. 26481 del 2014, Rv. 633651).

E’ errata, di conseguenza, anche la valutazione operata dalla Commissione Tributaria Regionale, in quanto, avrebbe dovuto riconoscere l’illegittimità dell’accertamento induttivo, accogliendo il ricorso della fotografa, perchè il fisco, non ravvisando un grave scarto tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore, aveva agito fuori dalle ipotesi tipiche disciplinate dalla legge.

Il giudice tributario, come rammentano gli ermellini, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte. Vale, infatti, in materia fiscale, il principio secondo cui il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell'atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell'accertamento dell'ufficio.

Accolto, quindi, il ricorso della contribuente e cassata la pronuncia della CTR del Lazio.