Interpretazione degli atti ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro: la Cassazione esprime un importante principio di diritto
Grazie all’odierno caso giudiziario, la Cassazione coglie l’occasione di chiarire definitivamente la portata dell’art. 20 dpr n. 131/1986, relativo all’interpretazione degli atti in materia di applicazione dell’imposta di registro, sulla cui questione i giudici della Suprema Corte si sono pronunciati diverse volte, anche di recente, esprimendosi in modo discordante.
Il caso discusso davanti alla Cassazione prende le mosse dall’aver l’Agenzia delle Entrate emesso un avviso di liquidazione dell’imposta di registro a carico di una società, in quanto, l’operazione di conferimento d’azienda posta in essere dalla società stessa e la successiva cessione delle quote della conferitaria, secondo il Fisco, nascondevano un fine elusivo, occultando tali operazioni in realtà una cessione d’azienda.
La società aveva promosso ricorso innanzi alla CTP di Genova, che lo aveva respinto, giudizio ribaltato poi dai giudici di seconde cure.
L’Agenzia delle Entrate allora era ricorsa in Cassazione, per violazione e falsa applicazione dell’art. 20 dpr n. 131/1986, rubricato interpretazione degli atti, in quanto i giudici d’appello avevano considerato genuina l’operazione economica realizzata dalla società, negando che i singoli atti potessero essere ri-qualificati e ricondotti ad un negozio unitario, quale la cessione d’azienda, data la diversa soggettività tra il soggetto giuridico cessionario d’azienda e il cessionario delle quote.
La pronuncia della Cassazione
La Cassazione, nella sua pronuncia (sentenza n. 6758 del 15 marzo 2017) ha dato ragione al Fisco e, rilevando la presenza di orientamenti contrastanti in merito all’interpretazione dell’art. 20, ha pronunciato un importante principio di diritto che chiarisce la portata della disciplina contenuta nell’art. 20, definendo l’imposta di registro come imposta di negozio e non di atto.
Precisa la Cassazione, infatti, che, sebbene vi sia stata una recente decisione contrastante con l’orientamento costante della giurisprudenza, in merito all’interpretazione dell’art. 20 che ha subordinato la riqualificazione negoziale - ex art. 20 - alla prova di un «disegno elusivo» (Cass. n. 2054/2017), una decisione ancor più recente, che rimarca l’orientamento maggioritario e anteriore della Cassazione (Cass. n. 3562/2017), ha invece stabilito che l’art. 20 esprime una regola interpretativa e non antielusiva. Infatti, evidenzia la Cassazione nella sua decisione "Non è possibile qualificare la disposizione della legge di registro come disposizione antielusiva senza forzarne la struttura normativa, introducendovi un elemento estraneo - appunto, l'elusività fiscale - che viceversa corrisponde solo a un'eventualità della fattispecie. Come norma interpretativa, l'art. 20 d.P.R. 131/1986 è una norma di «qualificazione» degli atti, che non si sovrappone all'autonomia privata dei contribuenti, ma si limita a definirne l'esercizio insieme agli altri canoni legali di ermeneutica negoziale".
In sostanza, dicono i giudici, nella (ri-)qualificazione degli atti occorre fare riferimento alla causa effettiva degli stessi, alla loro dimensione reale e concreta, e non invece alla causa cartolare (giuridica), in quanto la norma di cui all’art. 20 ha una mera portata interpretativa; questa prevalenza interpretativa, conferita alla disciplina di cui all’art. 20, non viola la riserva di legge sancita dall’art. 23 Cost., né elude la garanzia fornita all’autonomia privata dall’art. 41 Cost., poiché l’interpretazione opera soltanto in chiave qualificativa dell’agire negoziale (Cass. 19 giugno 2013, n. 15319, Rv. 627196), ragion per cui quando gli atti sono plurimi e funzionalmente collegati, quando cioè la causa tipica di ciascuno è in funzione di un programma negoziale che la trascende, rileva la causa concreta dell’operazione complessiva.
Essendo, quindi, la norma di cui all’art. 20 dpr n. 131/1986 una norma interpretativa e non antielusiva, impone una qualificazione oggettiva degli atti secondo la causa concreta dell'operazione negoziale complessiva, a prescindere dall'eventuale disegno o intento elusivo delle parti; ne consegue che il conferimento societario di un'azienda e la cessione dal conferente a terzi delle quote della società conferitaria devono essere qualificati come cessione dell'azienda al cessionario delle quote, se l'interprete riconosca nell'operazione complessiva - in base alle circostanze obiettive del caso concreto - una causa unitaria di cessione aziendale; inoltre, in tema di imposta di registro, l'art. 20 d.P.R. 131/1986 non detta una regola antielusiva, ma una regola interpretativa, la cui applicazione da parte dell’ufficio finanziario non è soggetta al contraddittorio endoprocedimentale previsto per l’applicazione delle disposizioni antielusive (art. 37-bis d.P.R. 600/1973, poi art. 10-bis I. 212/2000), bensì alla verifica giurisdizionale circa l’osservanza dei criteri legali di interpretazione dei negozi.