Fiscalmente non è impresa familiare se manca l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata precedente al periodo d’imposta che la qualifichi come tale
Questo quanto stabilito di recente dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 2472/2017, in un caso in cui il titolare di un’impresa familiare (nello specifico una tabaccheria) chiedeva la censura della sentenza della CTR che, confermando la decisione della commissione tributaria provinciale, aveva ritenuto validi gli avvisi di accertamento che rilevavano un maggior reddito d’impresa rispetto a quanto dichiarato, con conseguente ricalcolo delle imposte dovute per Irpef, Irap e Iva, oltre interessi e sanzioni.
Il contribuente ricorreva in Cassazione, ritenendo illegittima la decisione dei giudici di merito, che a detta della parte, avrebbe violato le norme fiscali relative all’impresa familiare, argomentando nella sua domanda che il maggior reddito accertato non poteva essere attribuito integralmente alla titolare, ma solo pro-quota con quello del coniuge, che, a sua volta, partecipava agli utili come contitolare, peraltro, secondo il contribuente, anche da un punto di vista processuale, la decisione doveva ritenersi illegittima per il mancato instaurarsi del litisconsorzio necessario del coniuge contitolare dell’impresa.
I chiarimenti della Cassazione
La Cassazione, tuttavia, ha rigettato il ricorso, in quanto ha chiarito che per applicare il regime fiscale dell’impresa familiare (220 bis c.c.) disciplinato dall’art. 5, comma 4 del TUIR, secondo cui i redditi (limitatamente al 49 per cento dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore) prodotti da tale tipo di impresa, sono imputati a ciascun familiare che abbia prestato in maniera continuativa e prevalente la propria attività nell’impresa familiare, proporzionalmente alla propria quota di partecipazione, è necessario che ricorrano le condizioni di cui all’art. 5, comma 4 del TUIR, ovvero che vi sia:
- l’indicazione, nella dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, delle quote attribuite ai singoli familiari e l'attestazione che le stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell'impresa in modo continuativo e prevalente;
- l’attestazione di ciascun partecipante, nella propria dichiarazione, di aver lavorato per l'impresa familiare in modo continuativo e prevalente, nonché
- l’indicazione nominativa dei familiari partecipanti all’attività di impresa, risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo d'imposta, regolarmente sottoscritti dall'imprenditore e dai familiari (Cfr. anche Cass. n. 23170 del 2010, Rv. 615781 e n. 17010 del 2013).
Considerando che, nel caso di specie, manca tale ultimo elemento, l’impresa non può essere qualificata fiscalmente come impresa familiare, ma come ditta individuale, né di conseguenza può farsi applicazione del regime fiscale previsto dall’art. 5 comma 4 del TUIR, in quanto i familiari collaboratori non possono essere ritenuti contitolari dell'impresa familiare ed i redditi loro imputati sono da considerarsi reddito di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa.
La natura individuale dell’impresa familiare e la rilevanza della posizione degli altri familiari - che prestano la loro collaborazione e il loro apporto sul piano lavorativo - esclusivamente nei rapporti interni esclude, peraltro, che sia configurabile una ipotesi di litisconsorzio necessario (v. in tal senso, Cass. n. 874 del 2005, Rv. 579071). Né, comunque, è mutuabile la struttura propria delle società, la cui disciplina - come precisato da Sez. U, n. 23676 del 2014 - non può essere applicata, per incompatibilità, all’esercizio dell’impresa familiare.