Fisco

Anche se non si tratta di elusione, il conferimento di beni attraverso la cessione di partecipazioni societarie implica il necessario versamento dell’imposta di registro


Una società per azioni ricorre in Cassazione contro la motivazione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che aveva rigettato il suo ricorso avverso la decisione della Commissione Provinciale, la quale aveva convalidato il provvedimento con cui l’Agenzia delle Entrate notificava alla contribuente un avviso di liquidazione di imposta di registro per operazioni societarie.

Il caso si riferisce ad operazioni di conferimento di azienda compiute dalla società attraverso cessione di partecipazioni societarie; l’Agenzia delle Entrate e i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto che per tali operazioni debba versarsi l’imposta di registro in misura proporzionale.

La società ricorrente obiettivamente ha riconosciuto che secondo l’art. 20 del DPR n. 131/1986, ai fini della determinazione dell’imposta di registro, deve necessariamente farsi riferimento alla natura intrinseca dell’atto e ai suoi oggettivi effetti giuridici (la sostanza), che prevalgono sulla forma apparente, tuttavia, per avvalorare la propria tesi, ha sottolineato che l’art. 176 del d.p.r. 917/1986, nel terzo comma espressamente realizza un regime particolare per il conferimento di aziende: “non rileva ai fini dell'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, il conferimento dell'azienda secondo i regimi di continuità dei valori fiscali riconosciuti o di imposizione sostitutiva di cui al presente articolo e la successiva cessione della partecipazione ricevuta”, traendo la conclusione secondo cui sarebbe illogico qualificare il conferimento di azienda attuato attraverso la cessione di partecipazioni societarie, come (possibile) operazione elusiva ai fini dell’imposta di registro e invece come operazione esclusa dall’ambito dell’elusione ai fini delle imposte dirette.

La Corte di Cassazione nell’odierna sentenza (n. 3562 pubblicata il 10 febbraio 2017) ha chiarito invece che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’art. 20 d.p.r. 131/1986 non sia disposizione predisposta al recupero di imposte «eluse», perché l’istituto dell’ “abuso del diritto” ora disciplinato dall’alt 10 bis 1. 27 luglio 2000 n. 212 presuppone una mancanza di «causa economica» che non è invece prevista dall’art. 20 dpr n. 131 cit. Tale norma, infatti, ai fini della determinazione dell’imposta di registro richiede di qualificare l’atto o il “collegamento” negoziale alla base, in ragione degli effetti oggettivamente raggiunti dal negozio o dal collegamento negoziale.

Quindi, ad esempio, quando si conferiscono beni in una società e si cedono quote, i negozi, se collegati, possono essere idonei oggettivamente a realizzare una vendita dietro versamento di prezzo.  Ai fini della riqualificazione dell’atto o del negozio, infatti, contano gli effetti oggettivamente prodottisi (si vedano, in tal senso, le sentenze n. 9582 del 11 maggio 2016 ; n. 10211 del 18 maggio 2016; n. 9573 del 11 maggio 2016, tutte emesse il 21 aprile 2016 ed ancora la sentenza n. 18454 del 21 settembre 2016; e la n. 2050 del 27 gennaio 2017). Pertanto, la tassazione dell’imposta di registro in misura proporzionale non deriva dall’individuazione di un “abuso di diritto” (elusione), di conseguenza, è irrilevante che la legge escluda, in relazione alle imposte dirette, la sussistenza dell’ “abuso” (elusione) in riferimento a determinate operazioni economiche.

Concludendo, è legittimo il recupero dell’imposta di registro da parte dell’Agenzia delle Entrate, anche se si accerta che tali operazioni societarie (conferimento di beni attraverso cessione di quote) non siano state realizzate per fini elusivi.