Se la struttura produttiva viene creata ad hoc in occasione del trasferimento, non può parlarsi di cessione di ramo d’azienda
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1316 del 19 gennaio scorso, rigettando le decisioni dei giudici di merito, si è pronunciata chiarendo il concetto di cessione di ramo d’azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c., in occasione del trasferimento di un call center da parte di un’azienda del settore delle telecomunicazioni ad altra azienda.
I dipendenti del call center avevano promosso ricorso in Cassazione, lamentando l’errata qualificazione da parte dei giudici di merito del trasferimento del call center ad altra impresa, come cessione di ramo d’azienda, con contestuale contratto di appalto di servizi in capo alla cessionaria, in quanto quello che era stato effettivamente ceduto era la mera attività di assistenza clienti, mentre erano rimaste nelle more della cedente altre attività pure essenziali allo svolgimento del servizio di assistenza clienti, come anche i software e gli applicativi informatici e la gestione direttiva e organizzativa del servizio e dei dipendenti, ragion per cui, a parere dei ricorrenti, non poteva parlarsi di cessione di ramo d’azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c..
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha ricordato il principio espresso recentemente in altra sua pronuncia, secondo cui “costituisce elemento costitutivo della cessione del ramo di azienda prevista dall'art. 2112 cc, anche nel testo modificato dal D. Igs n. 276 del 2003, art. 32, l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere - autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario - il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti" (Cass. sent. n. 10542 del 25.2.2016).
Sul punto va ricordato anche l’art. 1 lett. b della direttiva n. 2001/23, il quale stabilisce che “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria”.
Ciò presuppone una preesistente realtà produttiva funzionalmente autonoma (comma 5 art. 2112 cc come sostituito dall’art. 32 comma 1 d.lgs n. 276/2003) e non anche una struttura produttiva creata ad hoc, in occasione del trasferimento (Cass. n. 21697 del 13.10.2009; n. 21481 del 9.10.2009; n. 20422 del 3.10.2012).
La Corte di Giustizia, inoltre, sul punto ha affermato che, proprio per garantire una protezione effettiva dei diritti dei lavoratori in una situazione di trasferimento - obiettivo perseguito dalla direttiva n. 2001/23 - il concetto di identità dell’entità economica oggetto della cessione non può riposare unicamente sul fattore relativo all’autonomia organizzativa (Corte di Giustizia 12.2.2009 C-466/07 Dietmar, punto 43) e che l’impiego del termine “conservi” nell’art. 6, par. 1 commi 1 e 4 della direttiva “implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento” (Corte di Giustizia 6.3.2014, C- 458/12, Amatori, punti 30 e 32).
Peraltro, se nell’ambito di un contratto di cessione di ramo d’azienda, è assente la contestuale cessione dei beni materiali essenziali ed indispensabili – ovvero, nel caso di specie, i sistemi applicativi e informatici (software) - per l’esecuzione del servizio ceduto, non può individuarsi, nell’oggetto della cessione, un’entità economica capace di dare vita ad un ciclo produttivo completo.
Secondo la corretta interpretazione dell’art. 2112 c.c. l’autonomia dell’entità ceduta deve essere obiettivamente apprezzabile, sia pure con possibili interventi integrativi imprenditoriali ad opera del cessionario, al fine di verificarne l’imprescindibile requisito comunitario della sua conservazione.
A tale riguardo, dicono i giudici della Suprema Corte, non possono essere condivise le argomentazioni dei giudici di seconde cure circa la sussistenza di un carattere consuetudinario esistente nel settore della telefonia mobile, in base al quale i programmi restano nelle more del committente, ciò, al più, può trovare fondamento nel fatto che i data base contengono dati sensibili relativi ai clienti, per cui l’incedibilità dei programmi che permettono l’accesso e la modifica di tali data base è connessa ad esigenze di riservatezza e alla conseguente necessità che anche gli altri programmi e gli operativi informatici utilizzati prima della cessione per lo svolgimento di diverse attività restino nella proprietà della cedente.
Nondimeno, quando i lavoratori ceduti non costituiscono un gruppo coeso per professionalità, con precisi legami organizzativi preesistenti alla cessione e specifico Know How, tali da poterli individuare come una struttura unitaria funzionalmente idonea e non invece come una mera sommatoria di dipendenti, non può parlarsi nemmeno di cessione di un ramo “dematerializzato” o “leggero”.
Infine, sotto il profilo dell’autonomia operativa, va considerata la necessaria autonomia nella organizzazione del lavoro per potersi parlare di cessione di ramo d’azienda, quindi, laddove tutte le procedure operative, anche dettagliate, vengono determinate a livello centrale – dalla cedente, così, come gli obiettivi da raggiungere, l'autorizzazione, spese per trasferte, rimborsi e cancelleria nonché le regole comportamentali di base per il rapporto con il cliente, si è fuori dal campo di applicazione del disposto di cui all’art. 2112 c.c.
Ebbene, se è dimostrato che, nell’ambito del trasferimento, mancano autonomia e autosufficienza dell’articolazione aziendale trasferita, può parlarsi solo di mera esternalizzazione di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate esclusivamente dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza dei rapporti di lavoro ad un ramo di azienda già costituito (in questi termini Cass. n. 8017/2006, n. 2489/2008).9
Concludendo, secondo la Cassazione, si configura esternalizzazione di servizi e reparti e non cessione di ramo d’azienda, quando:
- i programmi e gli applicativi informatici, imprescindibili per l’espletamento del servizio facente capo all’oggetto della cessione, restano nella proprietà della cedente;
- i dipendenti non hanno autonomia gestionale né indipendenza direttiva;
- restano in mano alla cedente alcune funzioni anch’esse indispensabili per il corretto espletamento del servizio ceduto;
- è dimostrato il continuo controllo e collegamento della cedente sull’attività della cessionaria.