Si applica l’IVA sull’autoconsumo di beni per cessazione dell’attività
Con la causa C-229/15 del 16 giugno 2016, la Corte di giustizia Ue è stata interpellata a dirimere una controversia tra un notaio polacco e la propria Amministrazione finanziaria, circa l’assoggettamento a imposta dell’autoconsumo di un bene durevole in sede di cessazione dell’attività; trattasi di un immobile, adibito ad abitazione e a uso ufficio, il quale era stato costruito da oltre 10 anni, operando le ordinarie detrazioni dell’imposta sulle relative spese afferenti alla sfera professionale.
Secondo il professionista, una volta decorso il periodo decennale di osservazione previsto in Polonia per la rettifica della detrazione sugli immobili (stesso termine previsto in Italia), il valore del bene era da considerarsi interamente “consumato” nell’impresa; diversa invece la tesi dell’Amministrazione polacca, secondo la quale l’imponibilità IVA dell’operazione di autoconsumo è volta a garantire la neutralità dell’imposta, mediante l’applicazione della rivalsa e della detrazione fino all’immissione in consumo del bene. In quest’ultimo caso la base imponibile ai fini IVA sarebbe costituita dal valore residuo del bene al momento della cessazione dell’attività.
La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte suprema polacca alla Corte Ue, verte sulla corretta interpretazione della direttiva 2006/112/CE, in particolare se l’articolo 18, lett. c), della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che, in caso di cessazione dell’attività economica di un soggetto passivo, il possesso personale dei beni per i quali lo stesso ha detratto l’IVA al momento dell’acquisto, sia assimilabile ad una cessione di beni effettuata a titolo oneroso e, in quanto tale, operazione soggetta a IVA nonostante il decorso del periodo di rettifica di cui all’articolo 187 della direttiva IVA.
Contesto normativo
Ai sensi dell’art. 168 della direttiva IVA, un soggetto passivo ha diritto a operare la detrazione d’imposta nella misura in cui i beni e i servizi da lui acquistati siano utilizzati per effettuare operazioni soggette ad imposta. Inoltre l’art. 18, lett. c) della direttiva prevede che gli Stati membri possono assimilare ad una cessione di beni a titolo oneroso “il possesso di beni da parte di un soggetto passivo o dei suoi aventi causa in caso di cessazione della sua attività economica imponibile, quando detti beni hanno dato diritto ad una detrazione totale o parziale dell’IVA”.
Il giudizio della Corte di giustizia Ue
I giudici comunitari ricordano che il meccanismo della detrazione dell’imposta assolta a monte è correlato alla necessaria riscossione dell’IVA a valle, allo scopo di controbilanciare tale detrazione: per questo motivo, nel caso in cui i beni e i servizi acquistati da un soggetto passivo d’imposta siano impiegati ai fini di operazioni esenti o non rientranti nell’ambito di applicazione dell’IVA, mancando la riscossione dell’imposta a valle non potrà essere operata la detrazione dell’imposta a monte. È invece riconosciuta la detrazione dell’imposta assolta a monte, qualora tali beni o servizi siano usati al fine di effettuare operazioni imponibili a valle, onde evitare una doppia imposizione. Inoltre, le disposizioni del citato art. 18, lett. c) della direttiva IVA, nel caso in cui un soggetto passivo ponga fine alla propria attività professionale, hanno il chiaro intento di evitare che beni per i quali si è detratta l’imposta in sede di acquisto, siano successivamente oggetto di un consumo finale non assoggettato ad IVA a seguito della cessazione dell’attività; tale disposizione non prevede alcuna condizione sospensiva legata al decorso del termine entro il quale opera il meccanismo di rettifica della detrazione. Infine, la Corte Ue ricorda che tale meccanismo di rettifica della detrazione consiste in un correttivo a posteriori, mentre la destinazione dei beni a finalità estranee all’impresa configura l’esistenza di una nuova operazione imponibile alla data della cessazione dell’attività economica.