Cassazione: riconosciuto il danno da straining per vessazioni saltuarie
Cosa si intende per straining
Lo straining costituisce una forma attenuata di mobbing che costringe la vittima a operare in una costante situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, in cui la vittima subisce azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo (quindi non rientranti nei parametri del mobbing).
La vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo straining (strainer). Lo straining viene attuato appositamente contro una o più persone, ma sempre in maniera discriminante.
Lo straining è stato per la prima volta definito anche in sede giurisprudenziale (Trib. Bergamo, 21 aprile 2005.) ed è stato ribadito che per lo straining è sufficiente una singola azione con effetti duraturi nel tempo.
Il caso
Una dottoressa si rivolge al giudice per richiedere un risarcimento per danno da mobbing per due episodi subiti:
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In seguito ad una consulenza effettuata dalla dottoressa in reparto senza il consenso del primario, la stessa vedeva stracciare la sua relazione da parte di quest’ultimo;
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Mancata consegna da parte dello stesso primario della scheda di valutazione della dottoressa.
I due fatti sono avvenuti rispettivamente il 20 e il 26 ottobre 2006 pertanto il giudice esclude che gli stessi abbiano dato luogo ad un vero e proprio mobbing mancando l’elemento della “frequenza” della condotta ostile.
La dottoressa ha evidenziato un danno biologico del 10% in relazione ad un disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso poi cronicizzato, a causa della situazione disagevole nella quale la dottoressa è stata mandata ad operare.
Tale situazione, con riferimento al periodo compreso tra ottobre 2006 e il consolidamento dei postumi permanenti, può essere qualificata come straining, che si definisce come una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, in cui la vittima subisce azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo ma tale da provare una modificazione in negativo, costante e permanente, della condizione lavorativa.
Il suddetto “stress forzato” può essere provocato appositamente ai danni della vittima con condotte caratterizzate da intenzionalità e discriminazione e può anche derivare dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro disagevole, per incuria e disinteresse nei confronti del benessere lavorativo.
E ‘ sufficiente anche un’azione ostile purchè essa provochi conseguenze durature e costanti a livello lavorativo, tali per cui la vittima percepisca di essere continuamente in una posizione di inferiorità rispetto ai suoi aggressori.