Cassazione - Detrazione dell’IVA anche per gli immobili abitativi
La Corte di Cassazione, con la sentenza n.6883 dell’8 aprile 2016, ha confermato che il divieto di detrazione previsto dall’art.19-bis1, comma 1, lett. i), del D.P.R. n. 633/1972 per gli immobili classificati catastalmente come abitativi non ha carattere assoluto, essendo derogabile quando l’impresa sia in grado di dimostrare, sulla base di elementi oggettivi, che i suddetti immobili sono utilizzati, anche solo prospetticamente, nell’ambito dell’attività d’impresa.
L’art.19-bis1, comma 1, lett. i), del D.P.R. n.633/1972 preclude la detrazione dell’IVA assolta in relazione all’acquisto ed al recupero di immobili abitativi. Il divieto non opera, in virtù di una specifica previsione contenuta nella norma, per le spese sostenute dalle imprese di costruzione nonché da quelle che pongono in essere locazioni esenti che determinano l’applicazione del pro rata.
L’indetraibilità dell’imposta riguarda i fabbricati abitativi classificati come tali secondo le risultanze catastali e, in linea generale, prescinde dall’utilizzo effettivo dei medesimi.
Questo principio è stato disatteso dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n.18 del 22 febbraio 2012; nella specie, quando gli immobili abitativi possono essere utilizzati, secondo la normativa regionale di settore, nell’ambito di un’attività turistico-alberghiera, siccome le prestazioni di alloggio sono imponibili (con l’aliquota del 10%, ai sensi del n.120) della Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. n.633/1972). In conseguenza dell’imponibilità in esame, infatti, è stato precisato che l’imposta sull’acquisto di beni o servizi afferenti dette tipologie di prestazioni risulta detraibile benché relativa a fabbricati che, dal punto di vista catastale, si presentano come abitative.
In base a questa impostazione, avallata anche dalla Corte di Cassazione, occorre pertanto verificare, in linea di fatto, se l’immobile abitativo, nel momento in cui sono realizzati i lavori di manutenzione o ristrutturazione, sia già effettivamente utilizzato per lo svolgimento di attività ricettizia, ovvero se a tale utilizzazione risulti inequivocabilmente destinato (cfr. sentenza n.3454 del 14 febbraio 2014, successivamente confermata dalle sentenze n.8628 del 29 aprile 2015, n.21965 del 28 ottobre 2015, n.4606 del 9 marzo 2016 e n.5707 del 23 marzo 2016).
Da ultimo, la sentenza n.6883/2016 ha generalizzato il principio precedentemente esposto, affermando che, “in tema di IVA (…), ove l’operazione non rientri nell’oggetto esclusivo o principale dell’attività, il compratore non ne dovrà dimostrare solo l’inerenza e la strumentalità in base a elementi oggettivi e in concreto, secondo la generale previsione di cui all’art.19 del DPR n. 633/1972, ma dovrà dimostrare anche che il bene non rientra più nella categoria dei beni a destinazione abitativa, per i quali, in base ad un criterio legale oggettivo, è prevista l’esclusione della detrazione”.
Il caso
Nel caso in esame, a fronte dell’elemento fattuale offerto dall’Ufficio, in merito alla destinazione abitativa dell’immobile rilevante ai fine dell’applicazione dell’esclusione della detrazione, la sentenza impugnata ha motivato in maniera insufficiente, laddove non ha tenuto conto di tale elemento fattuale che, ove valutato, avrebbero potuto condurre ad una diversa soluzione della controversia. In particolare, i giudici d’appello hanno valorizzato una serie di elementi – nella specie, che la società aveva dichiarato di avere acquistato l’immobile per adibirlo a sede legale, dopo le opportune ristrutturazioni, indicandolo nella nota integrativa al bilancio, iscrivendolo nel registro dei cespiti ammortizzabili ed includendolo nelle immobilizzazioni materiali e specificando nella nota integrativa che, alla conclusione dei lavori di ristrutturazione ivi sarebbe stata stabilita la sede legale – quali prova dell’inerenza e della strumentalità prospettica, rilevanti ai fini dell’esercizio della detrazione in applicazione dell’art.19, comma 1, del D.P.R. n.633/1972; la Commissione tributaria regionale, tuttavia, non ha illustrato sulla scorta di quali elementi oggettivi abbia ritenuto di poter superare in concreto l’esclusione della detraibilità conseguente alla destinazione abitativa dell’immobile ed ha erroneamente affermato che era onere dell’Ufficio dimostrare che l’immobile, una volta conclusi i lavori, non sarebbe stato adibito a sede legale della società.
La conclusione raggiunta dalla Suprema Corte conferma, pertanto, che il divieto di detrazione previsto dall’art.19-bis1, comma 1, lett. i), del D.P.R. n.633/1972 per gli immobili classificati catastalmente come abitativi non ha carattere assoluto, essendo derogabile quando l’impresa sia in grado di dimostrare, sulla base di elementi oggettivi, che i suddetti immobili sono utilizzati, anche solo prospetticamente, nell’ambito dell’attività d’impresa.