Il datore di lavoro è obbligato a consentire l’accesso del lavoratore alle motivazioni relative alle sue note di qualifica
Se il datore di lavoro non consente l’accesso del lavoratore ai documenti indicanti le motivazioni con cui vengono formulate le note di qualifica, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno.
Rivolgersi al Garante per ottenere un provvedimento con cui egli ordini al datore di lavoro di ottemperare alle richieste di accesso, non ostacola la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria per richiedere il risarcimento del danno.
Con questa pronuncia, la Cassazione (sentenza n.6775/2016) ha recentemente cassato una sentenza della Corte d’Appello di Roma, in favore di una lavoratrice che, a causa delle sue condizioni di salute, sottoposta a sorveglianza sanitaria, era stata trasferita a svolgere mansioni diverse e da allora aveva ricevuto note negative sulle sue capacità professionali. Avendo richiesto al datore di lavoro delucidazioni su tali valutazioni negative, esercitando il suo diritto di accesso ai documenti, relativi alle motivazioni con cui erano state espresse le sue note di qualifica e che avrebbero dovuto far parte del suo fascicolo, non aveva ottenuto risposta. Comportamento questo reiterato dal datore, nonostante un provvedimento del Garante lo avesse esortato a consentire l’accesso della lavoratrice ai documenti integrativi che la riguardavano.
Il caso fa riferimento alla vecchia legge sulla privacy (L. n.675/1996), tuttavia, la decisione dei giudici resta ad ogni modo ben applicabile anche al nuovo Codice Privacy (D.Lgs. n.196/2003).
La pronuncia della Cassazione
La Cassazione, pronunciandosi sulla questione, ha chiarito, sulla medesima scia di precedenti pronunce, che è un obbligo per i datori di lavoro conservare, in un apposito fascicolo personale, gli atti e i documenti più significativi che attengono al percorso professionale del lavoratore, comprese le valutazioni che descrivono il rendimento e le capacità professionali e i documenti motivanti le stesse, al quale fascicolo il lavoratore ha il diritto di accedere liberamente e facilmente.
L’obbligo del datore di lavoro di consentire al lavoratore di accedere al proprio fascicolo personale deriva, prima ancora che dalla normativa sulla privacy, dal rispetto dei principi di buona fede e correttezza che si basano sull’esistenza del rapporto di lavoro, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.. Tale diritto di accesso configura una posizione giuridica soggettiva del lavoratore che trova il suo fondamento nello stesso rapporto di lavoro (Cass. Sez. Un. 4 febbraio 2014, n.2397), come confermato, peraltro, anche dalla contrattazione collettiva del settore, che prevede l’obbligo del datore di lavoro di detenere un fascicolo personale del lavoratore relativamente al percorso professionale che lo riguarda, consentendo al lavoratore di accedervi liberamente.
Per quanto riguarda, nello specifico, i lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria (che, ad esempio, utilizzano videoterminali, che espongono i lavoratori a rischi per la salute ), la relativa documentazione sanitaria, deve essere custodita presso l’azienda ovvero presso l’unità produttiva, consegnandone copia al lavoratore, quando egli ne faccia richiesta, secondo quanto disposto dall’art.4 comma 8 del D.Lgs. n.626/1994.
Il datore di lavoro è tenuto obbligatoriamente a conservare ogni documento significativo, relativo alla storia professionale del dipendente, comprese le note di qualifica, dalle quali si desume il rendimento del lavoratore e le sue capacità professionali. A tal proposito, il lavoratore ha il diritto di rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali ogni qual volta il datore di lavoro non ottemperi all’obbligo di consentire l’accesso alla documentazione completa relativa alla storia del lavoratore e alle motivazioni che riguardano le valutazioni di merito espresse dal datore, al fine di ottenere l’integrazione dei dati personali detenuti dal datore di lavoro, con ulteriori documenti che giustifichino tali valutazioni.
Rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali per ottenere i suddetti provvedimenti a carico del datore di lavoro e, successivamente, rivolgersi all’autorità giudiziaria, quando il datore di lavoro non adempie a quanto impartitogli dal Garante e per richiedere il risarcimento dei danni patiti, di natura patrimoniale e non patrimoniale, non costituisce violazione del principio di alternatività delle due tutele di cui all’art.29 della legge sulla privacy, secondo cui la presentazione del ricorso al Garante rende improponibile l’ulteriore domanda innanzi all’autorità giudiziaria tra le stesse parti e il medesimo oggetto. Infatti, l’alternatività delle due forme di tutela deve essere riferita solo ed esclusivamente a quelle domande aventi il medesimo oggetto, che possano creare, da un punto di vista processuale, questioni di litispendenza e continenza. Situazione questa che non accade quando, davanti all’autorità giudiziaria, vengano proposte domande di natura risarcitoria (esclusivamente riservate alla giurisdizione ordinaria ), considerando peraltro la natura amministrativa dell’autorità garante. Un provvedimento del Garante, che accolga un ricorso contro un datore di lavoro, può facilitare il ricorso davanti all’autorità ordinaria, ma non certo estromettere la tutela della stessa! Ragionando a contrario, dovrebbe ammettersi che scelta la strada della tutela inibitoria, dovrebbe abbandonarsi quella risarcitoria. In tal modo, si inciderebbe negativamente su un principio sostanziale che è quello di cui all’art.24 della Costituzione, impedendo così la piena tutela di un diritto fondamentale.
Gli obblighi del datore di lavoro
Inoltre, la Cassazione sottolinea che il datore di lavoro ha degli obblighi precisi relativamente alle modalità di trattamento dei dati personali (trattare i dati secondo correttezza, liceità, pertinenza e necessità e adottare misure idonee che consentano al lavoratore il tempestivo diritto di accesso al proprio fascicolo personale, al fine di consentire la rettifica, l’aggiornamento o l’integrazione dei dati stessi), questi obblighi si collegano con quello relativo alla formulazione delle valutazioni di merito del lavoratore, espresse mediante le note di qualifica. Stanti queste premesse, il lavoratore ha il diritto, al di là dei danni effettivamente subiti, di ottenere il controllo da parte di un giudice sulla correttezza dell’iter seguito nel formulare le valutazioni di merito.
Peraltro, qualora gli obblighi di trattamento dei dati siano stati violati e, nonostante il provvedimento del Garante disponga di rendere più agevole l’accesso al lavoratore al proprio fascicolo, il datore di lavoro non adempia al suddetto provvedimento, risponde del risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 2050 c.c., in base all’art.18 della Legge n.675/1996 (oggi art.15, D.Lgs. n.196/2003), in conseguenza di ciò, il danneggiato, per ottenere il risarcimento è tenuto a provare il danno e il nesso di causalità con l’attività di trattamento dei dati, mentre spetta al datore di lavoro provare l’adozione delle misure idonee adottate per evitarlo.