Le collaborazioni giornalistiche. Diritti e Previdenza
Una recente circolare dell'Inpgi, Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, (circolare n.2 del 21/02/2013) chiarisce alcuni punti fondamentali sulle collaborazioni giornalistiche, dal punto di vista del diritto del lavoro e degli obblighi contributivi, anche alla luce delle recenti novità di legge. La circolare prende in esame in particolare i casi in cui il committente sia un ente pubblico.
Con l'aiuto di Christian Antoniani, Consulente del Lavoro, analizziamo possibili dubbi relativi alle situazioni descritte dalla circolare.
Uno dei punti su cui si concentra maggiormente la Riforma Fornero è il tentativo di contenere l'utilizzo distorto di rapporti di lavoro autonomo, che talvolta classificano come attività libero professionale, assoggettata al regime Iva, situazioni che invece sono nei fatti rapporti di collaborazione (se non, addirittura, di lavoro subordinato) e dovrebbero essere regolati come collaborazioni coordinate e continuative nella modalità “a progetto”. In particolare la legge della Riforma Fornero (n.92/2012) introduce un sistema di “presunzioni” nell'istituto del “Lavoro a progetto” che riclassificano come collaborazioni a progetto le attività prestate da soggetti titolari di partita iva a fronte di alcuni riscontri oggettivi (vedi comma 1 dell'art. 69 bis del Dlgs n. 276/2003). In sostanza quando la collaborazione professionale dura per più di otto mesi l’anno, il reddito conseguito a fronte di tale collaborazione rappresenta l’80% del fatturato totale annuo del lavoratore, oppure il collaboratore ha una sua postazione di lavoro all’interno della sede del committente si è in presenza non di rapporto di lavoro autonomo, ma di collaborazione a progetto.
Per i giornalisti però queste presunzioni sono inapplicabili, perché quando è stato introdotto il lavoro a progetto, appunto con Dlgs n. 276/2003, ne erano state escluse le attività intellettuali per le quali ci fosse l'obbligo di iscrizione ad un ordine professionale. Quindi le collaborazioni giornalistiche possono essere da sempre solo co.co.co. e in nessun caso collaborazioni a progetto.
Questo non significa tuttavia che il giornalista che ritiene che il proprio contratto di lavoro autonomo sia classificabile invece come collaborazione coordinata e continuativa, nella modalità “tradizionale”, non possa far valere un rapporto di parasubordinazione, o al limite anche di lavoro subordinato dove ne sussistano gli elementi.
In quali casi un rapporto di collaborazione giornalistica regolato tramite partita iva si può invece trasformare in un rapporto di subordinazione?
“Non potendo applicare tout court in tale situazione gli indici oggettivi fissati dal Legislatore nel nuovo articolo 69-bis del d. Lgs. 276/2003, l’accertamento dell’eventuale utilizzo irregolare della veste giuridica di 'lavoratore autonomo' non potrà che prendere spunto dal confronto tra le effettive modalità di svolgimento del rapporto e le previsioni dell’art. 2222 del codice civile, che definisce il lavoratore autonomo come chi « si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente ». Qualora in relazione al caso concreto risulti non soddisfatta la previsione normativa, il rapporto potrà essere ricondotto – sulla base di ulteriori e approfondite valutazioni – alla tipologia contrattuale del lavoro subordinato (di cui all’art. 2094 c.c.) o a quella mitigata della collaborazione coordinata e continuativa (il cui riferimento di legge rimane l’art. 409, n.3, c.p.c.)”.
Vale anche per le collaborazioni giornalistiche in regime di co.co.co. l'obbligo di comunicazione da parte del committente (enti pubblici economici e pubbliche amministrazioni) di instaurazione, cessazione e variazione del rapporto di lavoro.
In caso di inadempienza della comunicazione da parte del committente, anche in relazione a un giornalista collaboratore può scattare la “maxisanzione” per lavoro nero prevista dal Collegato Lavoro 2010. La comunicazione deve indicare i dati anagrafici del lavoratore, la data di assunzione, la data di cessazione qualora il rapporto non sia a tempo indeterminato, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale e il trattamento economico e normativo applicato. Per le collaborazioni giornalistiche c'è anche l'obbligo, da parte del datore di lavoro, di denuncia e versamento della contribuzione - anche per la quota a carico del collaboratore - nei confronti della Gestione Inpgi, come succede in generale per le collaborazioni coordinate e continuative – anche a progetto – nei confronti della gestione separata dell’INPS.
Tale obbligo di comunicazione e denuncia con versamento contributivo non sussiste invece nel caso di una collaborazione giornalistica di tipo autonomo svolta nell'ambito di un rapporto di lavoro libero professionale con regime di partita Iva, oppure di natura occasionale. In questi casi il committente non ha alcun obbligo diretto di denuncia o versamento dei contributi nei confronti dell’Inpgi essendo tenuto unicamente a corrispondere al professionista, in sede di liquidazione del compenso pattuito, la parte dell’onere contributivo integrativo previsto a proprio carico, pari – attualmente – al 2% del compenso lordo.
Quali conseguenze per il lavoratore in caso di mancata comunicazione?
“Quando la mancanza della Comunicazione obbligatoria di instaurazione del rapporto (ove dovuta) è collegata alla gestione totalmente 'in nero' di tale rapporto lavorativo, quale che sia la precisa configurazione giuridica di questo (co.co.co. o lavoro subordinato), normalmente si genera una serie di effetti a cascata: i pagamenti vengono effettuati in nero, quindi non assoggettati a imposizione fiscale né a contribuzione, con l’ulteriore conseguenza dell’assenza di qualsiasi copertura previdenziale (ai fini pensionistici), assistenziale (ad esempio in caso di malattia) o assicurativa (gli infortuni sul lavoro) per il prestatore (collaboratore o dipendente), e stiamo tralasciando, ad esempio, le conseguenze in materia di adempimenti correlati alla sicurezza sul lavoro (formazione, informazione, dpi, sorveglianza sanitaria, ecc.). È opportuno evidenziare che se dal punto di vista delle coperture e delle tutele previdenziali, assistenziali ed assicurative il prestatore è solo 'vittima', sotto il profilo fiscale, invece, l’amministrazione finanziaria lo considera tecnicamente 'evasore'”.
Il committente è tenuto a versare al giornalista collaboratore con cui abbia stretto un rapporto di lavoro in forma libero professionale con partita Iva, oppure con cessione del diritto d'autore oppure ancora per una prestazione di lavoro autonomo occasionale, un contributo integrativo pari al 2% del compenso lordo, che il giornalista dovrà poi girare all'Inpgi in sede di dichiarazione e liquidazione annuale, anche nel caso in cui non abbia percepito tale importo dal committente. Il contributo va corrisposto al momento della liquidazione del corrispettivo pattuito.
In particolare la formula della cessione di diritto d'autore non sussiste in presenza di:
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un'opera a contenuto informativo, tesa ad esaurire la sua funzione con la prima e tempestiva diffusione;
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un corrispettivo dell'opera giornalistica che non deve discostarsi da quello correntemente in uso;
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una non occasionalità, e quindi la reiterazione nel tempo dell'utilizzo dello strumento del diritto d'autore da parte dello stesso soggetto.
In questi casi sul reddito derivante da questo tipo di attività sarà dovuto sia il contributo soggettivo (pari al 10%) sulla quota di reddito fiscalmente dichiarato (pari al 75% o al 60% dell’importo lordo a seconda dell’età del beneficiario), sia il contributo integrativo dovuto dagli utilizzatori, in misura del 2% del reddito lordo corrisposto.
Cosa può fare il collaboratore giornalista con un contratto di co.co.co se si accorge che non gli sono stati versati i contributi?
“I casi in via generale sono due:
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se il mancato versamento dei contributi deriva dal fatto che il rapporto è stato gestito completamente 'in nero', può agire per ottenere il riconoscimento del rapporto nelle sedi opportune (Giudice del lavoro) e di conseguenza ottenere anche la copertura previdenziale del periodo incriminato
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qualora invece il rapporto sia regolarmente istituito e gestito, ed il mancato versamento dei contributi dipenda da altre cause (problemi finanziari, errori, ecc.), in tal caso sarà l’Istituto creditore (nel caso specifico l’Inpgi) a sollecitare il pagamento (con sanzioni ed interessi) nei confronti del committente. È bene ricordare, a tale riguardo, che l’omesso versamento delle quote di contributi poste a carico del lavoratore (o collaboratore) e quindi a questi trattenute configura oggi un illecito di natura penale (punibile con la reclusione fino a tre anni e con la multa di 1.032 euro, salvo che si provveda al pagamento entro tre mesi dalla data della notifica dell’avvenuto accertamento della violazione)”.