Fisco

Omessa integrazione della fattura Intra-Ue di beni: la formalità dell'adempimento salva la detraibilità dell'Iva


La Corte di giustizia UE, nella causa C-590/13 dell'11 dicembre 2014, ha fornito chiarimenti circa le violazioni dell'obbligo di applicazione del reverse charge negli acquisti intracomunitari di beni, evidenziando che, in assenza di danni per l'erario, non può essere disconosciuta la detrazione dell'Iva, vista la natura formale di tale adempimento e la neutralità impositiva dell'operazione.

Il caso

Nel corso del 1998, la società italiana “Idexx” ha effettuato acquisti intracomunitari di beni da due Paesi Ue, senza procedere all’autoliquidazione dell’imposta tramite applicazione del reverse charge, registrando unicamente le fatture nel registro degli acquisti come operazioni fuori campo Iva. A seguito di un controllo dell’Agenzia delle entrate effettuato nel corso del 2000, venne notificato un avviso di accertamento nei confronti della “Idexx”, per aver violato la normativa italiana in merito alle modalità di registrazione degli acquisti Intra-Ue di beni (violazione degli articoli 46 e 47 del D.L. 331/93 e irrogazione di una sanzione pari al 100% dell’imposta). La suddetta società ritenne l’adempimento contestato, una mera formalità di annotazione di una partita di giro nei due registri Iva, con conseguenze neutrali per le casse dell’erario e decise di proporre ricorso contro il provvedimento dell’Amministrazione finanziaria; visti i dinieghi espressi nei primi gradi di giudizio, la controversia venne sottoposta alla Corte di cassazione. I giudici della Suprema Corte decisero di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale, per ottenere un’interpretazione del dettato della sesta Direttiva UE e poter valutare coerentemente ad esso, la legittimità della richiesta dell'erario.

Il giudizio della Corte di giustizia UE

I togati Ue interpellati a esprimere un giudizio circa il tenore letterale degli articoli 18 e 22 della sesta Direttiva, hanno ricordato che il meccanismo dell'inversione contabile, da applicare negli acquisti intracomunitari di beni, viene attuato tramite l'annotazione della fattura nel registro delle vendite e, contestualmente nel registro degli acquisti dell'acquirente nazionale, generando un effetto neutrale sull'imposta. Nonostante l'art.18, paragrafo 1, lettera d) della sesta Direttiva consenta, ad ogni Stato membro, di decidere le formalità con cui regolare le modalità di esercizio della detrazione d'imposta, gli stessi, nell'istituire i propri adempimenti interni, non possono “oltrepassare quanto strettamente necessario per controllare la corretta applicazione della procedura di autoliquidazione”. Inoltre, come già osservato in precedenti sentenze della Corte UE, il principio cardine della neutralità dell'Iva garantisce che la detraibilità dell'imposta venga accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche in assenza di taluni obblighi formali; conseguentemente, se l'Amministrazione finanziaria dispone delle informazioni utili a verificare l'assolvimento degli obblighi sostanziali, essa non potrà imporre ulteriori condizioni che ledano al diritto del contribuente di detrarre l'imposta. Nell'ambito degli acquisti intra-UE, i requisiti sostanziali dettati dall'art.17, paragrafo 2, lettera d), della sesta Direttiva, richiedono che l'acquisto venga effettuato da un soggetto passivo (il quale assolve l'imposta all'interno del proprio Stato tramite reverse charge) e che i beni in oggetto vengano utilizzati per realizzare le proprie operazioni imponibili. La Corte Ue ritiene pertanto che le disposizioni dettate dagli art. 18 e 22 della sesta Direttiva vertano esclusivamente su requisiti formali dell'esercizio del diritto alla detrazione, demandando all'Amministrazione nazionale il controllo dell'esercizio del diritto medesimo, per garantire la corretta riscossione dell'imposta e evitare l'evasione, senza però poter mettere in discussione la neutralità dell'Iva.

In conclusione, se da una parte l'orientamento comunitario riconosce e tutela il diritto alla detrazione dell'imposta, dall'altra rimanda il controllo e l'irrogazione di eventuali sanzioni pecuniarie allo Stato membro di appartenenza: il regime sanzionatorio interno, nei casi di omesso reverse charge per gli acquisti intra-Ue, prevede l'applicazione della sanzione dal 100 al 200% dell'imposta, nonostante i giudici Ue abbiano più volte invitato gli Stati membri ad applicare il principio di proporzionalità della sanzione, in assenza di un reale tentativo di evasione (si veda anche il caso “Equoland”, Sentenza C-272/13).