Illecito trattamento dei dati personali e risarcimento del danno non patrimoniale
Il patema d’animo lamentato dal danneggiato è risarcibile solo se è stata accertata la gravità e la serietà della lesione. Tali elementi sono presupposti fondamentali anche nel riconoscere il risarcimento del danno non patrimoniale di cui all’art. 15 del Codice Privacy.
Lo conferma la Corte di Cassazione in una recente sentenza (Cassazione n. 16133 del 15 Luglio 2014).
Il fatto
Dopo essere stata condannata al risarcimento del danno in favore di alcuni studenti universitari per aver pubblicato i loro dati personali sul proprio sito web all’interno di un file excel, l’Università di Roma Tre, propone ricorso davanti ai giudici della Cassazione per accertare, ex art. 366-bis cod. proc. civ., se:
"Nei casi in cui la legge prevede il risarcimento del danno, è autonomamente risarcibile il patema d'animo lamentato dal danneggiato? Nei casi in cui la legge prevede il risarcimento del danno non patrimoniale, quest'ultimo è risarcibile anche se non è stata accertata la sua serietà e la gravità della lesione?".
La Corte di Cassazione, nell’occasione, sottolinea che, nonostante il secondo comma dell’art. 15 del D. Lgs. n. 196/2003, sancisca anche la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dall’illecito trattamento dei dati personali, effettuato in violazione di quanto disposto dall’art. 11 dello stesso decreto, il concetto di “soglia della risarcibilità del danno non patrimoniale” riguarda anche l’art. 15 del Codice Privacy.
Dichiara la Corte che il danno di cui all’art. 2059 c.c. (danno non patrimoniale) ricade nell’alveo del danno da responsabilità aquiliana, risarcibile ai sensi dell’ 2043 c.c. , nel senso che la norma dell’art. 2059 c.c. “non disciplina un’autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella di cui all’art. 2043 c.c.”, bensì fissa i limiti e le condizioni della risarcibilità del danno non patrimoniale, la sua applicabilità ha come presupposto “l’esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, richiesti dall’art. 2043 c.c.” (Cass. 9 Aprile 2009, n. 8703, cit. nella sent. in commento).
Pertanto, il danno non patrimoniale che può essere risarcito solo nei casi stabiliti dalla legge, necessita, peraltro, ai fini della sua risarcibilità, che la lesione da cui è derivato il danno ingiusto, ai sensi dell’art. 2043 c.c., sia grave” (ovvero non tollerabile) e che il “danno non sia futile” (Cass. N. 8703/2009).
Dunque, perché il danno non patrimoniale sia riconosciuto è necessario che:
- la soglia di tollerabilità della lesione sia superata;
- il nocumento non sia insignificante.
Tali elementi devono necessariamente sussistere anche in relazione alle ipotesi di accertamento di un risarcimento per illecito trattamento di dati personali, in quanto “non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del d. lgs. n. 196/2003 determinerà una lesione ingiustificata del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali (diritto che rientra tra i diritti fondamentali di ogni individuo), ma solo quella che ne offenda in modo sensibile (e cioè oltre la soglia di tollerabilità) la sua portata effettiva”.
Conclude la Corte: “il danno non patrimoniale risarcibile non si sottrae alla verifica di gravità della lesione (concernente il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, quale intimamente legato ai diritti e alle libertà indicate dall’art. 2 del codice […]) e di serietà del danno (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall’interessato) che in linea generale si richiede in applicazione dell’art. 2059 c.c.”.
Pertanto, ragionando a contrario, secondo quanto deliberato dai giudici della Cassazione, qualora si accerti che il danno sofferto sia irrisorio e che l’offesa non superi la soglia base di tollerabilità, è possibile escludere la risarcibilità del danno non patrimoniale, anche quando la lesione attiene a diritti e libertà fondamentali dell’individuo.