Pensioni ed errori di calcolo: nuovi termini di decadenza
La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha pubblicato la Circolare n.15 con la quale analizza le modifiche apportate alla disciplina dei termini di decadenza, cui è sottoposta l’azione giudiziaria del pensionato, per controversie inerenti al diritto e alla misura della prestazione.
Si ricorda che il 6 luglio 2011 è entrato in vigore il DL n.98/2011 che all’art. 38 ha apportato delle norme che hanno ridefinito completamente i rapporti di forza nel contenzioso tra pensionato ed ente previdenziale, limitando fortemente la possibilità per i primi di agire giudizialmente al fine di vedersi riconosciuti i propri diritti; in particolare viene focalizzata l’attenzione sulle innovazioni apportate alla disciplina dei termini di decadenza cui è sottoposta l’azione giudiziaria del pensionato in caso di controversie inerenti al diritto e soprattutto alla misura della prestazione.
Termine triennale di decadenza
L'art.38 del DL 98/2011 ha apportato le seguenti aggiunte all’ art. 47 del DPR n. 39 del 1970: ”Le decadenze previste dai commi che precedono (ndr. e dunque al diritto alla prestazione) si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte".
Con tali disposizioni il legislatore estende l’applicazione del termine triennale di decadenza, originariamente imposto solo alle azioni giudiziarie inerenti al diritto alla prestazione previdenziale, anche alle azioni giudiziarie relative alla misura delle prestazioni previdenziali le quali, prima delle suddette disposizioni aggiuntive, erano assoggettate al solo termine di prescrizione (quinquennale) relativo ai ratei pregressi. Il termine di decadenza è fissato in tre anni, in riferimento alle prestazioni pensionistiche e in un anno, in riferimento alle prestazioni previdenziali temporanee (tra le altre la malattia, l’ Aspi, il Fondo di garanzia TFR).
Possibili profili di incostituzionalità - Dalla ricostruzione sopra riportata emerge una chiara volontà di introdurre una norma che inibisca la possibilità di richiedere la rettifica della misura della pensione a circa 20 milioni di pensionati INPS presenti in Italia (sono escluse le pensioni pubbliche), anche se questa misura è stata calcolata in modo errato dallo stesso Inps.
I soggetti interessati e i lavoratori con periodi di mobilità
La norma esaminata interessa tutti i titolari di pensione erogata dall’INPS (circa 20 milioni di prestazioni). In taluni casi l’errore dell’INPS non è dovuto a negligenze o a disattenzioni, bensì risulta sistematico a causa di inefficienze di natura amministrativa ovvero a cause inerenti al sistema di informazione tra INPS - sostituto di imposta ed INPS -lavoratore/pensionato.
Di particolare evidenza è il caso dei soggetti che si sono trovati in mobilità nel periodo di ricerca della retribuzione media pensionabile a partire dal 2009; ossia, i lavoratori che in prossimità del raggiungimento del diritto alla pensione sono entrati in un periodo di mobilità per effetto di un licenziamento collettivo dell’azienda.
Infatti, l’art. 3, comma 6 del DLgs 503/1992 prevede che le retribuzioni figurative accreditate negli anni della mobilità, qualora formino base del calcolo della retribuzione media pensionabile, oltre all’ordinaria valutazione relativa alle variazioni delle dinamiche inflattive, devono essere rivalutate anche in ragione degli indici di variazione delle retribuzioni contrattuali del settore di appartenenza, rilevati dall'Istat. La norma traeva origine dalla volontà del legislatore di garantire al soggetto in mobilità una pensione calcolata sulla base della stessa retribuzione persa, che sarebbe spettata in costanza di lavoro. Si rileva che l’INPS ha provveduto ad applicare il tasso di variazione delle retribuzioni contrattuali del settore di appartenenza, solo fino al 31 dicembre 2008. Pertanto si rinviene la possibilità che le pensioni con decorrenza successiva a tale data, erogate a soggetti in mobilità, possono essere inficiate sistematicamente da errore.
Cosa deve fare il pensionato
Risulta opportuno che i titolari di trattamenti pensionistici, che in qualche modo possano ricadere nelle suddette fonti di errore (nell’incertezza tutti i pensionati), in via preliminare si attivino per verificare che la pensione attualmente erogata dall’Inps sia corretta. Questo potrà essere fatto presso qualsiasi operatore specializzato a tale verifica.
Qualora venga riscontrato che sia stata riconosciuta una prestazione di importo inferiore a quanto dovuto, si consiglia di adire al più presto l’autorità giudiziaria, per ottenere il corretto importo della prestazione spettante e conseguentemente degli arretrati nei limiti della natura sostanziale della decadenza in esame. Il termine di decadenza di tre anni per l’azione giudiziaria, decorre dalla corresponsione di ogni singolo rateo di prestazione. Pertanto il diritto di ogni rateo è da considerarsi autonomo rispetto al complessivo diritto alla pensione.