Diritto

Niente condanna al commercialista che sa del nero del cliente, ma non denuncia


Non ha responsabilità il consulente contabile che è a conoscenza del nero compiuto dalla srl poi fallita, ma non lo denuncia.

Così la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 13858 del 9 aprile 2025, ribalta la pronuncia di condanna del merito che aveva ritenuto responsabile di bancarotta fraudolenta documentale il commercialista di una srl, per non aver denunciato la contabilità in nero della società cliente.

A parere degli ermellini, infatti, la semplice conoscenza da parte del consulente della gestione personalistica che i soci facevano della cassa sociale della S.r.I. cliente a gestione familiare, non imponeva allo stesso alcun obbligo di segnalazione e/o denunzia degli stessi alle autorità giudiziarie, ricoprendo egli un ruolo di mero consulente contabile. 

Sbaglia, dunque, la Corte d’appello a confermare la condanna del consulente per concorso in bancarotta sul supposto contributo che egli avrebbe fornito nella tenuta di una contabilità apparentemente corretta. 

Non vi era alcuna prova, infatti, che l'imputato avesse costruito inganni ed avesse artatamente modificato le risultanze contabili della società cliente, anzi era stato provato che egli comunicava ai soci tutte le considerevoli imposte da pagare sulla base della contabilità ufficiale da lui tenuta (l'unica a sua conoscenza), e quindi non aveva alcuna necessità di alterare la contabilità; peraltro, nessun bilancio della cliente era mai stato approvato dai soci e quindi nessun concorso poteva essere ipotizzabile da parte del commercialista nella tenuta di una seconda contabilità "a nero" che invece veniva conservata internamente e serviva a giustificare fra soci tutti gli ammanchi di cassa.

Nessun utilizzo della contabilità modificata tale da renderla apparentemente corretta, era stato effettuato nel concreto nei confronti dei terzi (nessuna pubblicazione di bilanci alla CCIAA) né nei confronti della curatela (con l'occultamento/distruzione della stessa); pertanto, per la Cassazione, non può ipotizzarsi che il consulente abbia compiuto l’operazione fittizia per fornire una rappresentazione contabile formalmente corretta.

Ed, infatti, il Tribunale in primo grado ben aveva escluso la responsabilità del commercialista nel fallimento della società cliente per bancarotta impropria e preferenziale, in quanto, spiegano gli ermellini, la decisione di pagare alcuni fornitori, invece che altri “attiene strettamente alla fase operativa e gestionale, che rimanda a decisioni dirette ed esclusive dei membri della famiglia”.

Infine, evidenzia la Corte di Cassazione, è opportuno precisare che in tema di bancarotta fraudolenta, la condotta di "distrazione" si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se, in quel momento, l'impresa versi in stato di insolvenza, mentre quella di “dissipazione” consiste nell'impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell'azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti (Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 25/02/2021, Rv. 280550 - 02).

Per altro verso, in tema di reati fallimentari, la consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti integra il delitto di bancarotta semplice nel caso in cui tali operazioni si inquadrino nell'ambito di condotte tenute comunque nell'interesse dell'impresa, configurandosi, invece, il delitto di bancarotta fraudolenta nel caso in cui l'agente abbia dolosamente perseguito un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa (Sez. 5, n. 7417 del 01/02/2023, Rv. 284230 - 02. Conf.: Sez. 5, n. 15850 del 1990, Rv. 185886-01).

Ai suddetti principi di diritto dovrà, dunque, fare riferimento il giudice del rinvio per ridefinire la questione.