Tassazione di NFT e criptovalute: la Cassazione conferma l'imponibilità dei proventi derivanti da opere digitali
L'omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi dei proventi derivanti dalla cessione di opere d'arte digitali, attraverso l'accredito di criptovalute, configura una violazione della normativa fiscale. Tali introiti rientrano tra i redditi da lavoro autonomo ai sensi degli articoli 53 e 54 del TUIR e, se il loro valore convertito in valuta corrente supera le soglie previste dall'art. 4 del D.Lgs. 74/2000, sono suscettibili di sanzioni penali. Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8269/2025 della Terza Sezione Penale.
I fatti di causa
La vicenda ha ad oggetto un caso relativo alla tassazione dei redditi derivanti dalla vendita di Non-Fungible Tokens (NFT) e alla percezione di proventi in criptovalute. L’imputato, un artista digitale, veniva indagato per il delitto di dichiarazione infedele ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 74/2000 per aver omesso di dichiarare i redditi derivanti dalla commercializzazione di NFT rappresentativi delle proprie opere d’arte digitali per gli anni d’imposta 2021 e 2022.
La contestazione riguardava il mancato inserimento in dichiarazione di ricavi ottenuti attraverso pagamenti in criptovalute, specificamente Ethereum (ETH), il cui valore convertito in valuta corrente superava le soglie di punibilità previste dalla normativa fiscale. L’imputato sosteneva che tali proventi non costituissero reddito imponibile, poiché gli NFT rappresentano certificati digitali di autenticità e titolarità di un’opera e non l’opera stessa. Inoltre, riteneva che i pagamenti ricevuti in criptovalute non rientrassero nelle categorie reddituali imponibili previste dal TUIR.
A seguito del rigetto dell’istanza di riesame del sequestro preventivo disposto a suo carico, la difesa presentava ricorso per Cassazione, articolando le proprie censure sulla qualificazione fiscale degli NFT e sulla rilevanza tributaria delle criptovalute.
I motivi della decisione
La Corte ha confermato la qualificazione dei proventi derivanti dalla vendita di NFT come redditi da lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 53 del TUIR. Ha ritenuto infatti che la natura digitale dell’opera non escluda la sua qualificazione come bene economicamente valutabile e fiscalmente rilevante. L’NFT, pur essendo un certificato digitale, incorpora l’opera d’arte e ne rappresenta il valore di mercato, determinando un’operazione di sfruttamento economico dell’opera stessa, analoga alla vendita di un’opera materiale.
In merito ai pagamenti in criptovalute, la Cassazione ha ribadito che le criptovalute costituiscono strumenti di scambio economicamente valutabili, il cui valore è riconducibile a moneta corrente mediante conversione ai tassi di mercato. Pertanto, i redditi percepiti in criptovalute devono essere dichiarati e sottoposti a tassazione, indipendentemente dalla loro eventuale conversione in valuta legale. La Suprema Corte ha inoltre respinto la tesi difensiva secondo cui l’incertezza normativa sulle criptovalute escluderebbe la responsabilità dell’imputato. Sul punto, ha chiarito che la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 30/E del 2023, citata dalla difesa dell’imputato per sostenere che la tassazione delle criptovalute fosse incerta fino alla sua pubblicazione e che, pertanto, la sua condotta non potesse essere considerata illecita per gli anni d’imposta 2021 e 2022, non introduceva nuove disposizioni di legge, ma forniva un’interpretazione di principi già desumibili dal sistema fiscale. Pertanto, l’errore di diritto sull’imponibilità delle criptovalute non è stato ritenuto scusabile, in quanto non integrava un errore inevitabile.
La Corte ha infine ribadito che l’obbligo di dichiarare redditi in natura esisteva già prima dell’introduzione della specifica normativa sulle criptovalute di cui alla Legge di Bilancio 2023. Di conseguenza, l’omessa dichiarazione dei redditi derivanti dagli NFT e dalle criptovalute è stata considerata una violazione fiscale pienamente sanzionabile.
In conclusione, la sentenza fornisce un orientamento in merito alla tassazione degli asset digitali, stabilendo che:
- I proventi derivanti dalla vendita di NFT sono imponibili come redditi da lavoro autonomo.
- Le criptovalute, pur non essendo moneta legale, costituiscono strumenti di scambio economicamente rilevanti e, in quanto tali, sono soggette a tassazione.
- L’errore di diritto sulla tassazione delle criptovalute non esclude la responsabilità del contribuente, salvo il caso di errore inevitabile.
L’orientamento espresso dalla Cassazione rafforza la tendenza della giurisprudenza e dell’Amministrazione finanziaria ad inquadrare con maggiore precisione gli asset digitali nel sistema fiscale italiano, eliminando margini di incertezza interpretativa e contrastando fenomeni di evasione fiscale nel settore delle criptovalute e degli NFT.