ATI: detrazione IVA consentita solo se si dimostra l’inerenza della distribuzione interna dei costi
Per le Associazioni Temporanee di Imprese (ATI), la detrazione IVA è consentita solo se si dimostra l’inerenza della distribuzione interna dei costi. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza 24 febbraio 2025, n. 4753, accogliendo il ricorso delle Entrate.
La questione
Il caso in esame riguarda l’impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria contesta l’indeducibilità da parte della srl capogruppo-mandataria (costituita con la srl mandante in Associazione Temporanea di Impresa per l’esecuzione di un contratto di appalto di opere pubbliche stipulato con un Consorzio di bonifica-committente) dell’IVA relativa alle atture emesse nei suoi confronti dalla srl mandante per la parte dei lavori eseguita da quest’ultima in favore del committente, difettando il requisito dell’inerenza di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972 in quanto non afferenti ad operazioni intercorse tra mandante e mandataria bensì relative ad operazioni intercorse tra mandante e committente (Consorzio di bonifica) al quale andavano fatturate le prestazioni in argomento.
Sia la Commissione tributaria provinciale sia quaella regionale accoglievano il ricorso della contribuente, ritenendo fondata l’eccezione di violazione del divieto di doppia imposizione, configurandosi l’ATI come autonomo soggetto giuridico.
Nel conseguente ricorso per Cassazione, l'ente impositore denuncia principalmente violazione degli artt. 19, 21 e 54 del D.P.R. n. 633/1972 per avere il giudice d’appello confermato l’illegittimità dell’avviso di accertamento, sebbene le fatture emesse dall’associata (mandante) nei confronti della srl capogruppo (mandataria) con IVA portata in detrazione da quest’ultima non afferissero ad operazioni intercorse tra la mandante e la mandataria ma ad operazioni intercorse tra l’associata-mandante e il Consorzio committente nei confronti del quale avrebbero dovuto essere emesse. Perciò l’indetraibilità dell’IVA da parte della contribuente per difetto di inerenza e di legittimazione passiva.
Esito del giudizio
Decidendo la vertenza, la Cassazione accoglie il ricorso erariale ed afferma il principio che si configura l’indebita detrazione IVA se il contribuente non prova l’inerenza della distribuzione di costi all’interno dell’Ati, soprattutto quando l’impresa mandante emette fattura, anziché alla stazione appaltante, alla mandataria che poi fattura a sua volta l’intera prestazione complessivamente dovuta dalle imprese facenti parte dell’Associazione Temporanea di Impresa.
Argomentazioni della Cassazione
Analizzando le trame argomentative sostenute dalla Cassazione nella vicenda in esame, occorre rilevare che costituisce al riguardo orientamento di legittimità consolidato (v. Cass. n. 14858/2018; n. 18904/2018), quello secondo cui il principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d'impresa (art. 109 TUIR) ed esprime una correlazione tra costi e attività d'impresa in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo. La prova dell'inerenza di un costo quale atto d'impresa, ossia dell'esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente in quanto tenuto a provare l'imponibile maturato. L'amministrazione, tuttavia, può contestare l'incongruità e l'antieconomicità della spesa che assumono rilievo sul piano probatorio come indici sintomatici della carenza di inerenza pur non identificandosi in essa. In materia di IVA, invece, l'inerenza del costo non può essere esclusa in base a un giudizio di congruità della spesa, salvo che l'amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell'assenza di connessione tra costo ed l'attività d'impresa.
Principio che vale anche in tema di ripartizione di costi infragruppo (Cass. n. 31405/2018).
A fortiori, in tema di IVA, posto che è soggetto passivo l'imprenditore che esercita la propria attività in modo indipendente, sopportandone individualmente il relativo rischio, di per sé non risponde a tale nozione l'ATI, la quale designa un fenomeno di raggruppamento di più imprese che per aggiudicarsi un appalto presentano un'offerta unitaria, conservando la propria indipendenza giuridica, e ciò a prescindere dalla configurazione del raggruppamento come orizzontale, ossia concernente lo svolgimento di attività omogenee, oppure verticale, cioè riguardante l'esecuzione di attività disomogenee (Cass. n. 30354/2018).
Pertanto, secondo la Cassazione, non basta il versamento all’erario e la mancata indicazione dei benefici fiscali conseguiti dalle società, atteso che non si può escludere che le aziende si siano accordate per un diverso riparto degli oneri (cfr. Cass. n. 26214/2020), in quanto, sotto il profilo fiscale, vi è necessità di dimostrare il riscontro della coerenza logica della scelta di una diversa distribuzione dei costi a fronte dell’attività assunta, per consentire un controllo in ordine al rispetto della disciplina che presidia la deducibilità dei costi secondo il principio di inerenza.
Quindi si configura indebita detrazione IVA (ex art. 19 D.P.R. n. 633/1972) se il contribuente non prova l’inerenza della distribuzione di costi all’interno dell’ATI, poiché quest’ultima, nell’ipotesi di raggruppamento tanto verticale quanto orizzontale, non costituisce un’impresa unitaria che esercita la propria attività in modo indipendente, sopportando individualmente il relativo rischio, trattandosi invece di un’aggregazione temporanea e occasionale tra imprese per lo svolgimento di un’attività, limitatamente al periodo necessario per il suo compimento, retta e disciplinata da un contratto di mandato collettivo speciale (Cass. n. 1396/2003).
Conclusioni
Con riferimento alla fattispecie in esame, si richiamo, altresì, le sentenze conformi n. 14579/2018; n. 22938/2018; n. 30354/2018, n. 2596/2022, con le quali la Suprema Corte ha sostanzialmente stabilito che in tema di deducibilità dei costi, ai sensi dell'art. 109, comma 5, del D.P.R. n. 917/1986, e di detraibilità della relativa IVA, ex art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, il contribuente è tenuto a dimostrare, nell'ipotesi di contestazione da parte dall'Amministrazione finanziaria, anche la coerenza economica degli stessi rispetto ai ricavi o all'oggetto dell'impresa, potendo a tal fine integrare il contenuto generico della fattura con idonei elementi di prova.