L’era post Covid: spunti e strumenti per ripensare il presente e progettare il futuro.


Giunti ormai al giro di boa che ci traghetta verso la seconda metà di un altro faticoso anno, ci ritroviamo sempre più proiettati verso quella che molti si affrettano a definire come “era post Covid”. In questo diffuso e sanissimo desiderio di iniziare a progettare e sperimentare il “dopo”, alcuni quesiti sembrano animare con forza il dibattito pubblico: come sarà questo dopo? Quali, tra le nuove abitudini inaugurate dalla pandemia, resisteranno e si attesteranno nello scenario sociale e quali, invece, perderanno senso e verranno soppiantate dal ritorno delle vecchie? Quali strumenti ci accompagneranno in questo delicato passaggio?

In questo contesto, certamente, la tecnologia e tutto ciò che nell’immaginario comune può essere ricondotto al concetto di “digitale” rappresenta uno degli strumenti determinanti nel ridisegnare le prospettive future. Nella grande accelerazione digitale che, almeno nel nostro Paese, ha investito trasversalmente generazioni e classi sociali, sottolineando in alcuni casi il costo drammatico del digital divide, si annida probabilmente una delle più interessanti opportunità che questa crisi globale ci presenta: quella di avere acquisito, a livello aggregato, competenze che mai avremmo sperato di veder diffondere così capillarmente, con tale impatto e rapidità.

La tecnologia, innestatasi in modo forzoso (ma anche salvifico) sulle nuove abitudini relazionali come strumento per costruire un’alternativa a quel “prima” non più praticabile, sembra aver segnato irreversibilmente il nostro modo di metterci in relazione. Quella sostituzione di contesto che ci ha costretti ad inventare nuove strategie per mantenere le nostre relazioni vitali nei diversi ambiti, nonostante l’impossibilità di condividere gli spazi fisici, ci ha spinti ad ingegnarci per trovare nuovi orizzonti di condivisione e socializzazione, mutando, in alcuni casi, le consolidate comunità in “community”.

Un ulteriore aspetto, tutt’altro che irrilevante, dell’utilizzo massivo e frequente di dispositivi digitali è l’acquisizione da parte di molti di una nuova capacità selettiva verso le tecnologie e l’utilizzo che di esse si può fare. Una sorta di senso critico maturato durante questi mesi di full immersion che determina una rinnovata consapevolezza da parte di utilizzatori ormai perlopiù esperti. Questo si traduce nel fatto che oggi le aspettative rispetto alle caratteristiche funzionali ed agli standard qualitativi di strumenti e dispositivi digitali sono sensibilmente cresciute, lasciando immaginare (e sperare) che assunti come ‘qualità’, ‘integrazione’ e ‘valore aggiunto’ guideranno gli sviluppi delle nuove tecnologie in ambito pubblico, relazionale, didattico, professionale e culturale.

A questo proposito, due interessanti report del World Economic Forum usciti, rispettivamente, ad ottobre 2020 (The Future of Jobs Report 2020) e a gennaio 2021 (Upskilling for Shared Prosperity 2021) sembrano fornire un’ulteriore conferma del fatto che la diffusione di una cultura digitale di qualità sia ineludibile anche nell’operazione di rilancio economico e sociale delle professioni e, quindi, delle imprese, in un contesto globale completamente mutato. Entro il 2025 infatti, secondo il WEF, oltre il 50% dei lavoratori su base mondiale si troverà a dover riformulare il 40% delle proprie competenze di base. Così come la maggior parte di loro dovrà completare, entro il 2030 al più tardi, il processo di acquisizione di competenze completamente diverse dalle proprie, per colmare lo skill gap rispetto al nuovo scenario e continuare ad occupare in modo virtuoso ed efficiente il proprio ruolo in azienda, come illustrato dal grafico riportato di seguito.

Questo significa che le aziende che operano in diversi settori (il WEF ne ha individuati principalmente 15) dovranno puntare massicciamente sulla formazione della propria forza lavoro per raggiungere gli obiettivi di reskilling (la riformulazione delle competenze in ambito professionale) e di upskilling (l’acquisizione di competenze nuove) richiesti dal nuovo scenario economico globale.

L’investimento in attività di formazione qualificata della forza lavoro (perlopiù digitale e di comprovata efficacia), orientata alla rigenerazione mirata delle competenze individuali, sarebbe infatti, secondo quanto riportato dal WEF, la migliore formula per accelerare la ripresa generale nel breve e medio periodo, recuperando e, al tempo stesso, restituendo senso a questo tempo sospeso.

Nello stesso perimetro sembrano muoversi le linee guida che animano il nostro Piano Nazionale di Ripartenza e Resilienza (PNRR) che individuano nella formazione e nell’acquisizione di nuove competenze una delle chiavi di sviluppo principali su cui puntare, finalmente, anche per il nostro Paese.

Ci troviamo quindi di fronte ad uno scenario che sembra offrire davvero molteplici occasioni di rilancio, non soltanto economico, ma insieme sociale e culturale. Tutto sta nel cogliere le stesse con lo spirito giusto ed indirizzare l’investimento delle proprie risorse (siano esse individuali o comuni) in modo strategico ed efficiente. Sperando che le dichiarazioni d’intento formulate finora dall’attuale Governo trovino al più presto un riscontro concreto.